La PIXILATION è un tecnica
d’animazione cinematografica nella quale i personaggi (o le
scene) vengono proposti fotogramma per fotogramma (frame-by-frame).
Il termine non deve essere confuso con “Pixellation” che è un
effetto grafico di ingrandimento dei pixel, una specie di
mosaico che maschera parte di una immagine, come talvolta
propongono i nostri telegiornali per evitare che un volto
venga riconosciuto.
La pixilation fa parte di un
gruppo di tecniche definite STOP-MOTION, nelle quali viene
sfruttata una particolare cinepresa che impressiona un
fotogramma alla volta. La velocità “soglia” al di sotto della
quale la sequenza non è più fluida ma i fotogrammi vengono
percepiti singolarmente è di 24 frames/secondo. L’immagine
cinematografica infatti utilizza questa velocità. L'immagine
televisiva europea usa 25 fotogrammi al secondo, l'immagine
televisiva americana ne impiega 29,97 al secondo.
Il termine
pixilation è da
attribuire al regista
Norman McLaren,
autore di “Neighbours”, cortometraggio in pixilation che vinse
un Oscar nel 1952. Tecniche di stop-motion sono state
utilizzate per brevi sequenze in film come King Kong (del
1933) o nella corsa in miniera di Indiana Jones o in
cortometraggi e film meno conosciuti.
Un collegamento internet con i
seguenti links permette di visualizzare brevissimi spot in
pixilation. Il primo è decisamente esilarante ma anche gli
altri non sono da meno. Suggerisco di visionarli per una
migliore comprensione dell’articolo.
E’ ovvio che l’elemento
divertente è il contenuto degli spot. Aver scelto come
metodica di proiezione la pixilation dà un apporto
marginale a tale contenuto. E’ possibile che lo rafforzi, ma
su questo ho qualche dubbio. Sicuramente attrae l’attenzione
dell’osservatore più di quanto farebbe la stessa sequenza con
la normale fluidità. Quindi la pixilation per richiamare
l’attenzione?
Il cinema si serve della
pixilation. Se ne serve in effetti abbastanza raramente e per
sequenze sostanzialmente brevi. Il regista la sa dosare quando
è utile (es. King Kong) e non la usa quando è inutile.
Simpatici registi “in erba” la utilizzano per attrarre
l’attenzione dell’osservatore, come negli spot di cui sopra.
La pixilation cinematografica,
utilizzando fotogrammi separati, presenta una evidente
affinità con il mondo della fotografia ma attualmente, grazie
alla disponibilità di schede grafiche sofisticate e di
programmi di montaggio estremamente maneggevoli, vale pure il
contrario: scatti fotografici presentati in sequenza rapida
mettono in scena, anche nell’ambiente degli audiovisivi, la
“pixilation fotografica”, che diventa il tormentone dei
circuiti e dei concorsi per diaporama.
Mi chiedo: se il cinema utilizza
questa metodica senza che si pensi che “non è più cinema”,
perché, se viene utilizzata nel nostro ambiente,
necessariamente si pensa che le foto in sequenza veloce e
scattosa non sono più fotografia?
A dire il vero di sequenze
“veloci e scattose” ne abbiamo viste un bel po’ da quando il
digitale imperversa. Ho calcolato la velocità di alcune
recenti proiezioni incriminate: un lavoro di circa 100 secondi
con 600 immagini. Si tratta in fondo solo di 6 fotogrammi al
secondo. Come vedete siamo ben lontani dalla soglia
cinematografica. Ho paragonato questi audiovisivi con altri al
di sopra di ogni sospetto, ad esempio un recente lavoro
pubblicitario su New York, presentato a Garda, o lavori di un
noto autore di Mede o audiovisivi monocromatici di colore
rosso. Hanno una analoga velocità di scorrimento, hanno gli
scatti ma senza sollevare tanto polverone.
Ahimé! Mi tocca di pensare che
in qualche caso è possibile creare un lavoro ad alta velocità
e in qualche altro caso no.
Per riordinare le idee ho
riguardato con occhio attento questi audiovisivi e anche gli
spot cinematografici trovati in internet. Mi sono accorto che
in taluni casi la pixilation arriva ad infastidirmi e mi sono
chiesto il perchè. La mia risposta ovviamente è molto
personale, come soggettiva è la sensazione sgradevole che ho
provato.
Mi è apparso evidente che gli
spot sono formati da diverse “sequenze” e che ogni sequenza è
formata da una serie di fotogrammi, ognuno dei quali ha un
soggetto che varia di qualche frazione di secondo rispetto al
fotogramma precedente e naturalmente anche rispetto a quello
successivo. Ogni fotogramma pertanto risulta scontato,
prevedibile. E’ questo l’aspetto chi mi ha dato il “sapore”
cinematografico e che mi ha particolarmente infastidito.
Poi, nello stesso spot, arriva
un’altra sequenza di fotogrammi, la scena cambia e
l’attenzione si ravviva. Ne ho dedotto che è la ripetitività
delle immagini ad appesantire il tutto. Al contrario la
variabilità e l’imprevedibilità mantengono viva l’attenzione.
E, se ci pensiamo, la diversità e la variabilità dei contenuti
è una delle caratteristiche fondamentali della fotografia.
“Le immagini possono essere
statiche (fotografie) o dinamiche (cinema o video) ma non è la
stessa cosa. La fotografia congela l’istante senza mostrare
ciò che c’era subito prima o che ci sarà subito dopo”,
scriveva Francesco Nacci nell’ottobre 1998 (Notiziario DiAF,
n° 4, pag. 24-25).
Ho sempre una grande simpatia
per chi, esplorando nuovi percorsi, rompe gli schemi rigidi
della tradizione e dimostra contemporaneamente fantasia e
creatività. Studiare e proporre una nuova metodica costituisce
un arricchimento per chi è attento alle novità e per chi sa
cogliere i cambiamenti che l’evoluzione tecnologica porta
inevitabilmente con sé.
Mi permetto di porre un unico
limite, beninteso, personale: il buon gusto. Da una
parte c’è una pixilation intelligente, funzionale,
evocativa e dall’altra una pixilation prevedibile,
scontata, dominata dalla ripetitività.
Ed ecco una proposta operativa.
Nel valutare questi audiovisivi potremmo chiederci: se lo
scorrimento delle foto fosse omogeneo il lavoro perderebbe di
qualità, perderebbe di significato? Se la risposta è
affermativa si potrà concludere che la metodica è
indispensabile, è “drammaturgica” nei confronti dell’argomento
trattato. Se la risposta è negativa evidentemente si tratta di
una metodica fine a se stessa, utilizzata per attrarre
l’attenzione, pertanto poco utile e talvolta fastidiosa.
Il profano
che vede per la prima volta un audiovisivo in dissolvenza
incrociata rimane stupito. Se dovesse vedere un audiovisivo
supportato dalla pixilation rimarrebbe sbalordito. Ma noi non
siamo profani e non ci lasciamo “incantare”. Al momento
opportuno dobbiamo saper estrarre dal taschino la nostra
capacità di giudizio che ci permette di valutare in modo
critico e costruttivo anche le novità.
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