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       ABBIAMO VISTO . . .

Rubrica di recensioni curata da Gianni Rossi

 

Autori in ordine alfabetico
A B C D E F G H I L M N O P Q R S T U V Z

 

 
 
Alloggio Giorgio IL ROSSO

16 febbraio 2009

 
 
Anzola Stefano UN SALTO PER FASUM (ETIOPIA)

29 ottobre 2007

 
 
Barbieri Arrigo La VALLE DEI DOSSI E DELLE ACQUE

6 novembre 2006

MAGICI SIBILLINI
 
 
Bartolozzi Giancarlo RIFLEXIA

20 marzo 2006

INSHALLAH
 
 
Bassi Nando INDIA

22 gennaio 2007

INDIA, TSUNAMI E ALTRE STORIE
 
 
Bencivenni, Calzati, Fontana, Roger, Serra FLATUS  VOCIS

20 febbraio 2006

IN ATTESA DI . . .
VENEZIA - BIENNALE 2005
 
 
Bovina Luciano GENTE D'ETHIOPIA

8 maggio 2006

ALL'OMARINO IGNOTO
 
 
Colleoni Andrea X-MAS FAILURE

15 dicembre 2008

CANENERO
 
 
Davighi Lorenzo L'UOMO VIVO

26 marzo 2006

LE CAREZZE
 
 
Donnini Enrico MI SONO INNAMORATO DI TE ...

5 marzo 2007

LUCE SMARRITA

 
Fiorani Sauro NEL VENTRE DEL MOSTRO

16 febbraio 2009

 
 
Fontana Loris L'EDEN RITROVATO

9 ottobre 2006

DALL'ALBA AL TRAMONTO
 
 
Forino Guido PERU' ... DOVE LA STORIA VIVE

19 novembre 2007

UNA PROFEZIA SCOLPITA NELLA PIETRA
 
 
Foroni Ermanno BLOCCO 18

12 febbraio 2007

 
 
Foroni Ermanno LE SCARPETTE BIANCHE (SIERRA LEONE)

21 gennaio 2008

 
 
La Lanterna di Mocabalù I PESCATORI NEL GOLFO DEL BENGALA

16 aprile 2007

CALCUTTA, SPECCHIO DELL'INDIA
 
 
Malfetti Stefano BANHOFF

27 novembre 2006

UN GIORNO COME UN ALTRO
 
 
Mangiarotti Antonio TOCCATA

24 novembre 2008

LOMELLINA
 
 
Montali Gigi UN GIORNO, UNA VITA, LA VITA IN UN GIORNO...

28 maggio 2007

UN ANNO DOPO
 

 

Negri Stefano L'EREDITA' SEGRETA

23 gennaio 2006

 
 
Negri Stefano ASPETTANDO IL NIRVANA

3 marzo 2008

 
 
Niglia Davide ...QUESTO DOVREBBE ESSERE UN FUNERALE?

21 aprile 2008

QUANDO FU IL GIORNO DELLA CALABRIA ...
 
 
Pastorino Luca CONTRAPPUNTO (BURKINA FASO)

3 aprile 2006

 
 
Pastorino Luca HAKUNA MATATA (TANZANIA)

18 dicembre 2006

 
 
Pinardi Gabriele GAUDI'

13 maggio 2006

HAOJ SLOVACCHIA
 
 
Pivari Andrea PRECIOUS WATER

11 febbraio 2008

CRITTERS - CREATURE
 
 
Pocetti Gaetano SOLI

11 giugno 2007

IL PARADISO NASCOSTO

 
Ral '81; Bencivenni, Calzati, Fontana, Roger DASTIN

13 ottobre 2008

LIBERA USCITA
 
 
Rossi Gianni HAPPY DAYS

17 dicembre 2007

IL CIRCO, IMMAGINI DEL PRESENTE, RICORDI DEL PASSATO
 
 
Turcato Walter GOD OF THUNDER (ETNA)

8 ottobre 2007

LE NUVOLE
 
 
Tuti Claudio SPAVENTAPASSERI

31 marzo 2008

  1976
     

     
 

INCONTRI E SERATE - 2006

23 GENNAIO 2006 - STEFANO NEGRI

Abbiamo visto . . .               

L’EREDITA’ SEGRETA

Una serata molto gradevole in compagnia di Stefano Negri ha riaperto le attività del GAD.  L’EREDITA’ SEGRETA è il titolo di un racconto del premio Nobel guatemalteco Rigoberta Menchù e da questo testo Stefano ha scelto numerosi capoversi utilizzandoli come commento vocale alle immagini da lui scattate in Guatemala. Ne risulta una suddivisione in capitoli secondo un percorso che dalla natura giunge all’uomo, colto nel semplice contesto di villaggi e mercati.

L’impostazione del lavoro ha offerto ai presenti l’opportunità di dibattere il tema del commento parlato. La scelta dello speaker è importante: fortunato chi si può permettere un professionista, ma anche un lettore “domestico” deve rispettare certe regole. Frasi brevi, scandite, interrotte da frequenti pause vengono recepite meglio dal pubblico.

I brani scelti devono essere in tono con le immagini, ma fotografie che riproducono banalmente i contenuti del parlato creano un sensazione di ovvio che può risultare sgradevole. Bravo Stefano che non è caduto in questo tranello.

Testi particolarmente profondi, come quelli della Menchù, richiedono immagini altrettanto profonde ma non sempre la nostra breve vacanza ci consente di raccogliere il materiale adeguato. E’ stata molto apprezzata la qualità fotografica, con tagli personali e originali, sottolineata da una buona colonna sonora. 

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20 FEBBRAIO 2006 - Bencivenni, Calzati, Fontana, Roger, Serra

Abbiamo visto . . . 

FLATUS VOCIS; IN ATTESA DI ...; VENEZIA-BIENNALE 2005  

Gli amici del C. F. “Il Palazzaccio” di S. Giovanni in Persiceto (BO) hanno proposto alcuni lavori realizzati in “collettiva”, sia in fase di ripresa fotografica che nell’allestimento. Lavori non didascalici ma concettuali, in grado di suscitare emozione e di invitare alla riflessione.

“FLATUS VOCIS”, un itinerario simbolico di liberazione della donna (o dell’Uomo) da gioghi ancestrali, imprigionata da improbabili vincoli ma capace di ritrovare l’armonia grazie alla forza interiore. Un sapiente gioco di luci accompagna e sottolinea il percorso.

“IN ATTESA DI . . .” Gli sguardi annoiati dei compagni di traghetto nascondono storie, ricordi, fantasie, ansie che gli autori hanno evocato mediante flash dinamici in rapida successione. L’originale idea propone una visione globale dell’Uomo, non mero involucro, ma portatore di ricchezze e di complessità. Realizzato in analogico negli anni ‘70, è stato trasformato in digitale mediante un impegnativo, e non sempre riuscito, lavoro di recupero delle DIA, deteriorate dal tempo.

“VENEZIA – BIENNALE 2005” Sotto lo sguardo ironico della Gioconda, gli autori si sono “immersi” tra le originali opere artistiche creando nuove fantasie di luci e colore. Il pubblico è diventato parte del collage.

I tre lavori sono accomunati da un “ermetismo” di fondo, che prevale nel primo. I diaporama a tematica non descrittiva, spesso per la rapida successione di immagini, di concetti, di simbologie, si espongono a difficoltà di comprensione e interpretazione. I commenti introduttivi talvolta risultano fuorvianti, condizionando il pubblico a confrontare la descrizione verbale con le immagini. Non sempre la fotografia è specchio della realtà: più spesso riflette le idee, le tensioni, i sentimenti dell’autore ed è difficile penetrare attraverso l’obiettivo, il mirino, la cornea, la retina fino alla corteccia di chi ha elaborato e voluto quella immagine. Non è sempre possibile e tanto meno necessario decodificare l’ermetismo. Meglio allentare le redini della fantasia. Sarà più facile cogliere le armonie, i linguaggi di colore, le assonanze musicali e trasformarle nelle proprie emozioni. “Non ho capito ma mi piace”.

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20 MARZO 2006 - Gian Carlo Bartolozzi

Abbiamo visto . . .            

RIFLEXIA e  INSHALLAH

Ben diversi nella collocazione geografica e nei contenuti, i due lavori hanno un punto di convergenza squisitamente fotografico, rappresentato dalla interpretazione delle luci, nella quale Giancarlo dimostra di essere maestro.

RIFLEXIA è una ricerca puramente estetica su Venezia, giocata con immagini suggestive, di taglio pittorico, che si susseguono mediante una dissolvenza incalzante. Il punto di ripresa originale, utilizzando riflessi apparentemente casuali di palazzi, ponti, calli, crea una atmosfera onirica e irreale che sottolinea il fascino di questa città. La colonna sonora monotematica, un brano di Vangelis troppo noto e altrimenti sfruttato, forse eccessivamente drammatico, è abilmente utilizzata nei cambi istantanei, che introducono immagini del reale, non tutte purtroppo di buon livello fotografico.

INSHALLAH, se Dio lo vuole. Dal frastuono dei villaggi e dei mercati il sentiero passa attraverso gli archi e i portici della moschea, per raggiungere gli spazi dilatati del deserto. Qui finisce la strada, la nostra strada. Il nostro posto, nell’inferno o nel paradiso è già segnato, dice il profeta. La sequenza di immagini descrittive, di contenuto geografico, impeccabili nel taglio ma discutibili nella resa cromatica, lascia spazio alle splendide geometrie di luci e ombre della moschea. I tiranti della tenda beduina sono un indispensabile raccordo con il deserto, anche se il loro significato sfugge per la banalità della ripresa fotografica. Gli spazi si dilatano sempre più tra le dune di sabbia, nelle ombre della sera, nelle ombre del nostro tramonto, dove ci attendono gli occhi inquietanti del destino mortale.

Grazie a Gian Carlo che ha lasciato al GAD una copia dei due lavori, in formato .exe e in DVD. Purtroppo l’utilizzo di M-Object costituisce un limite alla diffusione dei diaporami in quanto il file .exe che produce richiede un PC dotato di una scheda video molto sofisticata che non tutti (io compreso) possiedono.  

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3 APRILE 2006 - LUCA PASTORINO 

Abbiamo visto . . .       

CONTRAPPUNTO (BURKINA FASO)

Immagini di una popolazione estremamente povera del Sahel, nel Burkina Faso. L’idea di Luca è semplice: da una parte il duro lavoro, dall’altra danze, suoni e rituali e così la gioia fa da contrappunto alla fatica, la festa fa da contrappunto al sudore del quotidiano.

Nulla di nuovo pertanto, se non fosse per l’abilità con cui ha saputo dosare gli ingredienti che compongono l’opera. Le mani fanno da cornice ai volti, gli sguardi si perdono nello sfocato, il sudore e la sporcizia della pelle invadono l’inquadratura. Entra rispettoso nelle fatiscenti case e ci propone i dettagli di una vita grama, con tagli sapienti. Le espressioni spontanee e gli sguardi intensi di chi lo accoglie fanno intuire la sintonia che è riuscito a creare con questa gente. Negli interni ha sfruttato il mezzo digitale che consente di variare la sensibilità ISO in automatico, anche se l’operazione penalizza la resa cromatica.

Il ritmo è lento e misurato nella descrizione dell’ambiente e del lavoro ma diventa incalzante, addirittura frenetico nelle danze, con una successione talmente rapide da creare una sequenza quasi cinematografica, traghettando immagini singole talvolta di qualità discutibile. La colonna sonora scandisce perfettamente le variazioni di ritmo.

E stata sottolineata una certa debolezza della fotografia per quanto concerne la “profondità” e il colore, attribuita, un po’ troppo genericamente, alla tecnica digitale. Il discorso è in realtà molto più vasto e meriterebbe un incontro “dedicato” che permetterebbe di mettere in comune le reciproche esperienze. A chi è interessato consiglio la lettura dell’articolo “Ritorniamo in camera oscura”, reperibile nella sezione DIAPORAMA di questo sito.

Era con noi un illustre ospite, il prof. Marco Zarattini, reggiano, critico d’arte, diviso tra l’Italia e la sua seconda patria, gli Stati Uniti. Si è unito ai nostri commenti esprimendo il suo apprezzamento per il lavoro di Luca

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8 MAGGIO 2006 - LUCIANO BOVINA 

Abbiamo visto . . .           

          GENTE D'ETHIOPIA e ALL'OMARINO IGNOTO

Una serata molto ricca per il GAD grazie ai due lavori che Luciano Bovina ha proposto, uno descrittivo e di documentazione, l'altro profondo e concettuale, entrambi uniti dalla sue doti fotografiche. E' risultata evidente la sua capacità di elaborare e di proporre lavori di concezione diversa, sempre con analogo successo. Di entrambi ho apprezzato il commento, sempre in prima persona, con un sapore autobiografico molto coinvolgente. 

Al GAD è imperativa la discussione e sono inevitabilmente emersi pareri contrapposti.  Credo che una dote inalienabile del GAD sia parlare "fuori dai denti", senza peli sulla lingua, lasciando da parte le ipocrisie che spesso troviamo in altre serate. 

"Fuori dai denti" penso che in GENTE D’ETHIOPIA splendidi momenti di fotografia ricercata e suggestiva si siano alternati a brevi racconti caratterizzati da una eccessiva meticolosità descrittiva, certamente motivata dal desiderio di documentare in modo completo. Questo ha portato a cadute di pathos con conseguente perdita di attenzione e ha allungato inutilmente la durata del diaporama. 

All’OMARINO IGNOTO mi ha toccato dentro. Mi sono rivisto nelle mie passate peregrinazioni per il mondo, sempre incapace di capire i ritmi, i meccanismi di vita. Una metafora del desiderio di ogni viaggiatore di conoscere, di vedere il volto di questa gente ai margini della sopravvivenza.

Scrive Moravia: "Gli africani camminano. Ho viaggiato in Africa nera per migliaia di chilometri e dappertutto ho veduto singoli individui o coppie di un uomo e di una donna oppure piccole famiglie, oppure ancora gruppi di dieci, venti persone di ambo i sessi e di tutte le età che camminavano in solitudini spaventose, per le sterminate lande pullulanti di alberi tutti eguali della savana oppure per i sentieri che, simili a gallerie, sforacchiano la compatta massa tenebrosa della foresta pluviale. Dove vanno questi africani migranti?"  (da "A quale tribù appartieni" pag. 43 - Bompiani Ed.). 

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31 MAGGIO 2006 - GABRIELE PINARDI 

Abbiamo visto . . .  

          GAUDI' e AHOJ SLOVACCHIA

Gabriele si propone con temi per lui insoliti. Eravamo abituati ad atmosfere surreali, a contenuti onirici talvolta angoscianti ed ora presenta inaspettatamente due viaggi. Barcellona e la Slovacchia non vengono certo descritte ma interpretate con stile inconfondibile.

Gioioso e solare il lavoro su Gaudì: un mosaico di immagini che si “fondono” l’una nell’altra parafrasando i mosaici del Parc Guel e le sculture della Sagrada Famiglia. Perchè di “fusione” si tratta, non di dissolvenza. Con tecnica raffinata Gabriele fa apparire sul fotogramma una parte del successivo, creando una diversa scena che a sua volta in un attimo si scompone per fondersi con un nuovo frammento e condurre ad una nuova immagine. Difficile da descrivere. Penso anche da realizzare. Ne risulta uno scorrimento velocissimo, gradevole in certi momenti, frastornante in altri. La musica asseconda queste sequenze. Gaudì scompare, è un pretesto. Pure la fotografia scompare, piegata alle esigenze di questo gioco di ritmi e immagini che si rincorrono.

“Paesi e pensieri”, la frase di chiusura, sintetizza il lavoro sulla Slovacchia. Brevi racconti di una vacanza si succedono sullo schermo. Ogni racconto, ogni luogo evoca sensazioni personali. Squallidi condomini di periferia si alternano a boschi di conifere, giocatori di hockey, la miniera, il treno, il cimitero. La tecnica è sempre la stessa: immagini in “fusione” in successione filmica. E da films è ricavato il parlato (perchè no?). Opportunamente rielaborato e mixato, a volte netto, a volte volutamente incomprensibile, vuole trasmettere sensazioni personali: “Sono la morte, “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, “Uno scopo c’è per tutti”. Non sempre ci riesce: talvolta emerge uno scollamento e una scarsa omogeneità tra le immagini e il testo. Poca fotografia, molta creatività. Sicuramente una nuova proposta di regia da valutare con attenzione.

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9 OTTOBRE 2006 - LORIS FONTANA

Abbiamo visto . . . 

L'EDEN RITROVATO e DALL'ALBA AL TRAMONTO

Il messaggio di “EDEN RITROVATO” è scontato: la città è un miraggio, che stai a fare in campagna? e, come nella canzone di Giorgio Gaber, ecco, incalzanti, le immagini dei palazzi, delle strade, del traffico, che seguono le battute musicali con ritmo sempre più frenetico ed esasperante. Ritroverai il tuo eden nei vasti paesaggi collinari, tra i giochi cromatici dei campi fioriti che sfumano l’uno nell’altro come in un sogno. Elemento originale di riflessione è la nota autobiografica, espressa, purtroppo in modo breve e quasi accidentale, con immagini della scuola elementare e poche altre, in un discutibile (ma migliorabile) bianco e nero. La vera idea del lavoro. Buona la fotografia e il supporto musicale.

“DALL’ALBA AL TRAMONTO” non contiene messaggi: una “serie sonorizzata” sul Festival degli aquiloni, con tagli originali, geometrie insolite, accostamenti cromatici. Qualche immagine eccessivamente descrittiva ci riporta al banale ma il finale, fantasioso e creativo, rende merito alle capacità fotografiche di Loris.

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6 NOVEMBRE 2006 - ARRIGO BARBIERI

Abbiamo visto . . . 

     LE VALLI DEI DOSSI E DELLE ACQUE e MAGICI SIBILLINI

Cammina Arrigo all’alba, con la sua borsa fotografica, per “caradoni” di campagna o sentieri collinari e noi con lui, al suo fianco, curiosi delle sue curiosità, delle sue scoperte semplici e stupende. Una libellula, una ragnatela in controluce, la neve e la nebbia di mezza costa, lo stupore dell’incontro con la volpe.

Le immagini scivolano su un tappeto musicale. Non esiste logica nella sequenza, se non quella delle ore trascorse nei silenzi della natura e della successione delle stagioni. La città di notte non c’entra, spezza il ritmo, che poi riparte nelle vaste distese. Entrambi i lavori riflettono l’animo semplice e la personalità di Arrigo e vivono di un’ottima fotografia. Grandi pregi, anche se l’audiovisivo oggi ha maggiori pretese di montaggio, di drammaturgia, di regia. Attendiamo Arrigo con il suo orso marsicano.

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27 NOVEMBRE 2006 - STEFANO MALFETTI

Abbiamo visto . . .

     BANHOFF

Stefano Malfetti, autorevole amico di Firenze, propone il suo ambiente di lavoro: “BANHOFF”, la stazione. La musica, ritmata come il rumore del treno, scandisce le immagini di un mondo frettoloso, sfuggente e impersonale. I sapienti mossi (ottima qualità) fanno intravedere e intuire messaggi umani (il barbone, l’attesa, i fidanzati, le mani) ma l’orologio a muro, chiave di lettura del lavoro, si impone inesorabile. Emerge una folla in costante ritardo, angosciata, che ha esaurito lo spazio per il sentimento. Nulla a che vedere con il testo finale (e con la presentazione verbale) che risultano non in sintonia con i contenuti. La scelta del mosso, il ritmo non devono essere relegati ad una mera ricerca estetica: possiedono in realtà una intrinseca drammaturgia, evocativa, in questo caso, di frustrazione e alienazione. E ancora più frustranti le immagini fisse: il tabellone degli orari, i cartelli pubblicitari, la biglietteria, spettatori impersonali della quotidiana corsa di una umanità in movimento. Un messaggio profondo e inquietante, quello di Stefano.

UN GIORNO COME UN ALTRO

Nel secondo lavoro “UN GIORNO COME UN ALTRO”, trascrizione fotografica dell’omonimo film, Stefano ha espresso un’ottima fotografia, ovviamente facilitata dalle scene predisposte dal regista e realizzate da uno staff di professionisti. Poco di suo, se si escludono alcune originali inquadrature e l’impiego di una interessante tecnica di dissolvenza, con immagini che emergono dallo sfocato, ben intonata all’ambientazione ottocentesca del film.  

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18 DICEMBRE 2006 - LUCA PASTORINO

Abbiamo visto . . .

     HAKUNA MATATA

Arriva il Natale e il GAD diventa buono, deludendo forse i numerosi e graditi ospiti che si aspettavano un po’ di guerriglia. Il preludio del lavoro di Luca è una rapida carrellata sull’Africa del nostro immaginario, fatta di grandi spazi, di animali, di tramonti sulla savana, che l’estrema rapidità delle sequenze (forse eccessiva), lascia solo intuire. Si percepiscono inquadrature splendide che fuggono via veloci, lasciandoci inappagati, ma l’improvviso cambio del ritmo e della sonorità ci accompagnano al cuore del lavoro: l’uomo africano “ hakuna matata ” senza problemi. L’obiettivo di Luca esplora villaggi e poveri mercati, si avvicina a gruppi etnici insoliti, legati a rituali rudimentali, riuscendo a cogliere nei volti e nelle espressioni lo spirito di un popolo che accetta con serenità e dignità la propria miseria. Inquadrature ben composte, ricerca dei particolari, tagli decisi e un preciso uso delle ottiche e della profondità di campo valorizzano l’opera, anche se il tentativo di descrivere “cinematograficamente” specifiche attività (accensione del fuoco, danza masai) appare una leziosità inutile e otticamente fastidiosa. Ben indovinati gli accostamenti musicali, meno convincente la cromaticità delle immagini, con prevalenza di toni freddi.

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INCONTRI E SERATE - 2007

 

22 GENNAIO 2007 - NANDO BASSI

Abbiamo visto . . .

INDIA

Ogni viaggiatore riporta dall’India un minuscolo frammento che racchiude dentro di sé come un tesoro e che diventa la “sua” India. Pur in luoghi diversi, nei bei controluce sul Gange, tra la gente al lavoro, sulle vaste spiagge dell’oceano, il frammento di Nando è fatto di sguardi. Occhi curiosi, stupiti, ingenui, complici, in primo, in primissimo piano, sottolineati da una dissolvenza ben ritmata e da una suggestiva colonna sonora. L’ambiente semplice e operoso del povero villaggio è espresso da mossi ben costruiti che avrebbero meritato un sonoro dedicato. Buona la fotografia, originale nei primi piani e nelle riprese ravvicinate. La sequenza della abluzione nel Gange è inutilmente ripetitiva. Ottima la resa cromatica delle immagini proposte in digitale. Il titolo del lavoro è un riferimento geografico generico rispetto ai contenuti espressi.
 

INDIA, TSUNAMI E ALTRE STORIE

Una tragedia che si è esaurita in pochi, catastrofici attimi e che ha strappato migliaia di vite umane, sconvolgendo vasti territori. Nando, giunto nell’area colpita dodici giorni dopo, ha realizzato un reportage rispettoso e discreto, in sintonia con il suo carattere e il suo stile fotografico. Ha visitato e ci ha proposto, in sequenza cronologica, due regioni che hanno subito danni di entità ben diversa. Le immagini della prima area, scarsamente coinvolta, contengono pochissimi riferimenti al disastro e risultano pertanto fuorvianti nei confronti dell’argomento. Il rigore narrativo talvolta può essere piegato alle esigenze emozionali.
 

Il secondo territorio, colpito più pesantemente, ha permesso di realizzare un reportage “evocativo” sottolineato da un ottimo sonoro. Imbarcazioni sfasciate, ammassate sui tetti, nelle strade, tra le macerie delle case. File di donne in attesa di cibo, sguardi persi, mani tese verso il camion degli aiuti. Non vi è descrizione cruenta e, per fortuna, siamo ben lontani dalla aggressività fotografica a cui ci hanno abituato i media. Talvolta è sufficiente una barca sfasciata e un volantino che riporta il volto di un bimbo con la scritta missing, per emozionare.

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12 FEBBRAIO 2007 - ERMANNO FORONI

Abbiamo visto . . .

BLOCCO 18

Eravamo abituati a reportage coraggiosi, in paesi lontani, con situazioni improponibili ma ora Ermanno rientra tra i “comuni mortali”, con immagini realizzate in luoghi finalmente accessibile a tutti. Un lavoro commissionato dall’Istituto ISCOS-CISL gli ha consentito di fotografare Sighet, un piccolo paese della ROMANIA, nella regione del Maramures. Ed ecco la curiosità di vedere “come se la cava” quando la fotografia non è supportata da avvenimenti di portata internazionale o da condizioni ambientali estreme. E ancora una volta non ci ha deluso.

Il suo obiettivo ricostruisce i frammenti di una situazione sociale disgregata. Sale le scale pericolanti di palazzi scrostati, percorrendo tetri corridoi su cui si aprono miseri locali disadorni e malsani. Fondamentale, come al solito, è l’incontro con la gente, i cui sguardi via via rassegnati, delusi, ostili, sprezzanti si incrociano con le espressioni di tenerezza per la propria famiglia o di orgoglio per i propri muscoli, vuota illusione di emancipazione sociale.

Gli strumenti sono caratteristici di Ermanno. Potente la fotografia: un bianco e nero incisivo e molto contrastato, tagli decisi ed essenziali, sfocature su piani sovrapposti. Più debole la colonna sonora: fortemente emozionale il brano cantato, meno in sintonia il pezzo di chitarra. Discutibile il ritmo che mantiene tempi e dissolvenze pressoché costanti.

La sua fotocamera coglie semplici oggetti del quotidiano, il pane, la macchina da cucire, i panni stesi in cucina e, in un’abile composizione ambientale, li trasforma in simboli evocativi. Gli scatti proposti descrivono, emozionano, ma non interpretano. Ermanno, come abitudine, non espone il suo punto di vista e apparentemente il suo lavoro sembra non contenere messaggi. Ma il messaggio c’è, e traspare dalla forza delle sue immagini che sottendono la condanna di un regime di sfruttamento e di repressione. E così la processione che conclude il lavoro: una risposta della comunità di Sighet che si raccoglie attorno ad una fede religiosa per anni soffocata e ritrova così il coraggio di sperare.

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5 MARZO 2007 - ENRICO DONNINI

Abbiamo visto . . .

MI SONO INNAMORATO DI TE ...

La tentazione di rendere omaggio alla propria città è inevitabile per ogni fotografo e gli ingredienti a Firenze non mancano. La cupola del Brunelleschi e il Palazzo della Signoria fanno da sfondo alle forme opulenti delle sculture di Botero e alle sfere di bronzo di Arnaldo Pomodoro, esposte in una splendida composizione al Forte di Belvedere. L’arte nell’arte.

Ma l’arte non è solo contemplazione: per Enrico è motivo di riflessione. E così, tra le fotografie delicatamente descrittive, scorrono sogni e sentimenti espressi da un testo personale, profondo ed emozionale. Dal terrazzo, dagli angoli dove Enrico ritrova i silenzi che tutti noi cerchiamo, lontano dalle contraddizioni di città sempre più difficili da vivere e da capire, le sculture di Botero diventano magiche mongolfiere che portano i sogni verso il grande protagonista, il cielo di Firenze.

 

LUCE SMARRITA

Occhi, macchie di colore, scoppi, rumori angoscianti. Ed ecco emergere i tetri figuranti del Carnevale di S. Felice che diventano, per Enrico, i reduci di un remoto dramma. Pallide figure con divise sgualcite sfilano come zombi per ricordarci i fantasmi della guerra.

Le immagini, usuali per chi conosce questa manifestazione, sono un pretesto per sviluppare un’idea personale. Voci infantili invocano la madre, voci rabbiose chiedono a Dio giustizia. Forse inconsciamente emergono gli spettri di un lontano bombardamento in cui Enrico fu imprigionato tra le macerie. Rimane però una speranza: “Muore la gente e rimanda la vita al domani”.

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26 MARZO 2007 - LORENZO DAVIGHI

Abbiamo visto . . .

L'UOMO VIVO

Ironia e sarcasmo sembrano l’interpretazione di Lorenzo di ANGELI E DEMONI del Carnevale di S. Felice s. P., edizione 2006. “..torna questa mia vita disadorna...” “... trovo molto interessante la mia parte rivoltante...”. Frasi rubate da testi musicali incalzanti. Molte parole sfuggono, complice l’acustica discutibile della sala, ma si coglie un ritmo dissacrante, tra suono di tromba e risate. Ottima fotografia, con tagli originali e incroci cromatici accattivanti, specie nel finale.
 

LE CAREZZE

Immagini di un amore tutto al femminile si accostano alla canzone di Gianna Nannini. Le fotografie sono composte con grande rigore estetico ma, proprio per questo, risultano talvolta “recitate” e poco emozionali, complice una scarsa morbidezza delle luci. Un tema attuale e impegnativo, trattato con eleganza.
 
Affidare il nostro lavoro a testi musicali poco noti è un procedimento “a rischio”. Oltre alla acustica della sala, non sempre favorevole, richiede una forte attenzione dello spettatore alle frasi della canzone che, qualora siano ermetiche o allusive, spesso non sono comprese ad un primo ascolto. Ne deriva uno sforzo nel cercare la corrispondenza tra immagini e testo che distrae, a scapito della fotografia e del messaggio.

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16 APRILE 2007 - LA LANTERNA DI MOCABALU'

CARLO MOSCARDI - MAURO CARLI - CRISTINA BARTOLOZZI- SANDRA LUMINI

 
Abbiamo visto . . .

I PESCATORI DEL GOLFO DEL BENGALA

CALCUTTA, SPECCHIO DELL'INDIA

Se perisce il villaggio, perisce anche l’India” scriveva Gandhi, ma forse sbagliava. Da una parte un villaggio di poveri pescatori, ove i momenti della giornata sembrano ritmati da gesti secolari, dall’altra una metropoli indistinta e caotica, ove la strada si confonde con la fogna, il lavoratore con il diseredato, la fanciulla con la prostituta.

Le immagini degli amici di Firenze sottolineano il punto di raccordo tra luoghi così diversi: dignità e serenità traspaiono dagli sguardi, emergono dai gesti, rappresentando la forza e la vitalità di questo grande Paese.

Una fotografia descrittiva, indenne da elementi di disturbo ma con scarse concessioni alla originalità compositiva (belle geometrie nel villaggio) e all’approfondimento dei dettagli. Prevale l’intento di documentare e il coinvolgimento emotivo viene solo accennato dal breve riferimento alle Sorelle di Madre Teresa, in preghiera per questa umanità di diseredati.

Un vivace dibattito ha acceso la serata e, nonostante qualche intemperanza, sono emerse idee e suggerimenti, utili per gli autori ma soprattutto per il pubblico. Indubbiamente il GAD è difficile da digerire, ma l’analisi approfondita e sincera che è in grado di realizzare può essere elemento di crescita e di maturazione.

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28 MAGGIO 2007 - GIGI MONTALI

Abbiamo visto . . .

LA VITA IN UN GIORNO, UN GIORNO, UNA VITA...

Un’idea originale e un amaro messaggio costituiscono le chiavi di volta attorno alle quali ruotano le immagini, scattate alla Festa dei Madonnari a Le Grazie (MN). Gigi propone, attraverso una buona fotografia, una sua personale riflessione sulla vita.

Dai gessetti colorati, dalle mani sporche che si muovono abilmente, nascono uomini, donne, fanciulli che sembrano animarsi di vita propria. Appaiono sul selciato volti, sguardi di gioia, di sofferenza. Ma anche su di loro, come è sorte per l’Uomo, giunge inesorabile lo spettro della morte: il temporale spazza via le creature, sbiadisce forme e colori, riportandole alla Terra e ricordandoci il nostro destino di cenere.

Già si è detto del brano di Grieg. Una migliore sfocatura nelle riprese a medio campo avrebbe eliminato qualche elemento di disturbo. Anche il titolo merita una riflessione: “La vita in un giorno”, sintetizzando compiutamente il senso del lavoro, avrebbe evitato ridondanze inutili. Dettagli marginali, abbondantemente compensati dal significato profondo dell’opera.

 

UN ANNO DOPO

Fortemente drammatica la ricostruzione della strage nel metrò di Londra con immagini shock, articoli e testi, assemblati con abile regia. Un anno dopo, la vita sembra aver recuperato i suoi ritmi. Nei grandi parchi londinesi, nella metropolitana, negli uffici, nelle pause di lavoro, nelle strade affollate, un’ideale giornata londinese sembra scorrere nella generale indifferenza. In questa descrizione, peraltro indispensabile, il diaporama tende ad appiattirsi, forse per l’inserimento di qualche inquadratura di vago sapore turistico.

Alcune sottolineature invitano alla riflessione. L’uso del bianco e nero nella metropolitana (purtroppo incostante) attribuisce toni inquietanti al luogo dell’attentato (splendidi tagli all’interno dei vagoni). Nel finale, i volti colorati che emergono dalla grigia folla che popola i marciapiedi e la scritta “liberi di decidere” contengono il messaggio: una proposta di integrazione nella città cosmopolita per eccellenza e, più in generale, il superamento delle barriere etniche e culturali.

Qualche incoerenza stilistica in questa sequenza e un parlato acusticamente poco comprensibile rischiano di vanificare la forza del messaggio rendendolo non chiaro al primo impatto. Un lavoro originale, supportato da buon ritmo e ottima fotografia.   

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11 GIUGNO 2007 - GAETANO POCETTI

Abbiamo visto . . .

SOLI

Una tranquilla coppia di anziani vive serenamente la terza età. Una coppia unita. Gesti di affetto, la mano sulla spalla. Poi il precario equilibrio della mente si spezza. Una siringa, uno sguardo. Pochi e inequivocabili simboli fanno presagire l’inevitabile declino cognitivo che porta alla struttura protetta.

Con discrezione ed eleganti tagli, la macchina fotografica esplora le sale attrezzate di una struttura di assistenza, moderna e ben organizzata, cogliendo espressioni, smorfie, sorrisi e gesti semplici di solidarietà.

Il testo musicale di Renato Zero sottolinea le immagini, anche se talvolta il tentativo di comprensione dei significati o la ricerca degli accostamenti disturbano la percezione della fotografia. Le forti inquadrature scavano nel nostro intimo, evocando sentimenti, riflessioni e, per qualcuno, amari ricordi personali.

 

IL PARADISO NASCOSTO

La profonda spiritualità del popolo birmano è l’elemento conduttore del lavoro di Gaetano. Suggestivi controluce dei templi di Pagan sottolineano le antiche radici religiose di questo popolo. Ritroviamo poi scene del quotidiano, nei campi, nei villaggi e tra le palafitte del lago Inle, con inquadrature descrittive e talvolta scontate. I brevi testi, non in sintonia con le immagini, vanno accettati come personali riflessioni dell’autore.

Il commento sonoro, adeguato e perfettamente ritmato con le immagini, ed una dissolvenza creativa rendono gradevole questo passaggio che riporta al vero contenuto del lavoro.

Un canto lento, solenne, di grande contenuto evocativo, ci accompagna al cuore del paradiso, nascosto negli angoli delle case, nella penombra dei templi, tra i consunti libri di meditazione. Le fioche luci delle candele illuminano scarni profili di vecchi bonzi. Tra le volute di incenso appaiono gli sguardi intensi dei fanciulli, le mani congiunte nella preghiera, gli occhi ieratici delle statue dorate. Le sequenze, giocate prevalentemente in interni, fanno cogliere e ci trasmettono un forte messaggio di spiritualità.

Una splendida lezione di fotografia e di regia in un momento in cui, nell’audiovisivo, grazie (sic!) al digitale, sembrano prendere il sopravvento lavori privi di contenuto, realizzati con immagini di discutibile qualità, traghettati da montaggi adatti solo a stupire.

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8 OTTOBRE 2007 - WALTER TURCATO

Abbiamo visto . . .

GOD OF THUNDER

Spinto dalla curiosità e dal desiderio di provare, salii anch’io sulle stesse pendici calde e aride, verso le bocche coniche, avvicinando paesaggi sempre più lunari. L’emozione è rimasta ancora viva in me: un’angoscia che proviene dalla terra, dal vento, dal sordo rumore della montagna che dorme ma che potrebbe improvvisamente risvegliarsi e mostrare tutta la sua forza vitale.

Walter ha voluto trasmettere queste sensazioni congiungendo sonoro, fotografia ed effetti grafici. Il ritmo martellante di Kitaro domina il lavoro e, nella parte centrale, scandisce splendide immagini capaci di indurre forte emozione. Un abile fotoritocco crea improvvisi bagliori, flash ritmati perfettamente sulle note, che rafforzano la fotografia, sottolineando la tensione creata col sonoro. Il preludio, al contrario, non asseconda questo ritmo, dilungandosi in aspetti descrittivi ovvi e di qualità inferiore. Come pure un eccessivo impiego della tecnica digitale appesantisce il finale rendendolo scontato e artificioso.

LE NUVOLE

Temi dolci e poetici: i papaveri, le nuvole. Temi ben lontani dalla frenesia e dalla aggressività del nostro quotidiano. La colonna sonora, ben dosata, introduce con delicatezza macrofotografie di notevole qualità, giocate sulle tonalità cromatiche e sul controluce.

Utilizzando abilmente effetti grafici e sonori ricostruisce una atmosfera agreste dal sapore di fiaba. Una fiaba raccontata dalla voce roca della nonna a fanciulli che compaiono in tenue sovrimpressione. E’ la favola delle nuvole, ombre cupe che sorvolano e che si distendono sui campi di papaveri assumendo la forma dell’airone o della pecora o minacciose e scure come il corvo. E, come nelle favole, non le vediamo, le possiamo solo immaginare.

Walter, in punta di piedi, con eleganza e grande sensibilità, è riuscito a condurre ai ricordi dell’infanzia coloro che riescono ancora ad intenerirsi.

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29 OTTOBRE 2007 - STEFANO ANZOLA

Abbiamo visto . . .

UN SALTO PER FASUM (ETIOPIA)

Ai confini del mondo esistono popolazioni primitive, isolate dalla miseria, dall’ignoranza e dalla guerriglia. Stefano ha raggiunto questi confini e ci propone rituali e tradizioni tribali. Dai mercati alle danze, dall’autofustigazione al “salto del toro”. La sequenze scorrono impeccabili e l’obiettivo si sofferma sui volti, cogliendo intense espressioni. Corre ai dettagli dell’abbigliamento, ai tatuaggi, alle acconciature. Una inevitabile ripetitività appesantisce il fluire delle pur belle fotografie.

La colonna sonora diviene via via più intensa, unendo alla musica e ai cori anche i rumori, i suoni e le voci dell’ambiente, conferendo così una intensa emozionalità alle immagini. Il lavoro suscita una forte curiosità etnologica ma la dinamica delle complesse cerimonie risulta poco comprensibile e le aspettative di reportage, definite dal titolo, vengono in parte deluse. Un commento colto e discreto avrebbe sicuramente valorizzato l’audiovisivo.

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19 NOVEMBRE 2007 - GUIDO FORINO

Abbiamo visto . . .

PERU' ... DOVE LA STORIA VIVE

Camminando sui sentieri e tra le pietre di una antica civiltà, inevitabilmente il pensiero corre al passato. Le prime sequenze di immagini, accompagnate da un commento parlato, propongono, in una sintesi ben costruita e suggestiva, il genocidio del popolo Inca ad opera del conquistatore Francisco Pizarro.

La musica andina accompagna lo spettatore nelle le valli sorvolate dal condor, tra le canne delle isole galleggianti, fino agli alti dirupi di Machu Picchu, tra peones, anziani e donne al lavoro. La fotografia è descrittiva e tradizionale, più creativa in alcune sequenze, con composizioni geometriche sulle saline. La colonna sonora, talora scontata, crea una atmosfera suggestiva tra i sassi della “città perduta”. Si incastra bene con il commento parlato, essenziale e ben comprensibile, ma talvolta di tono un po’ impersonale.

 

UNA PROFEZIA SCOLPITA NELLA PIETRA

Anche questo lavoro prende spunto da un inquadramento storico, gli eccidi perpetrati in Cambogia dal regime di Pol Pot alla fine degli anni settanta. Forse per la crudezza del testo o perchè i tragici avvenimenti appartengono alla nostra storia recente, il coinvolgimento emotivo risulta forte. La regia è coerente con lo stile dell’autore: una fotografia semplice, ben ritmata su una colonna sonora centrata.

L’originalità dell’opera scaturisce dalle immagini dei bassorilievi scolpiti nei frontoni dei templi Khmer: le fanciulle danzanti richiamano lo spettacolo di balli nei costumi tradizionali (peccato l’impiego del flash), ma ancora di più le battaglie e i massacri, raffigurati mille anni fa, sembrano costituire una profezia. Una metafora che ci impone una riflessione sull’Uomo, sempre uguale a se stesso, pur nel cambiamento delle situazioni e dei comportamenti storici. La “Historia se repetit” di Gianbattista Vico. 

In entrambi i lavori emerge la capacità di Guido di creare una valida documentazione fotografica sulla base di una ricerca storica e attraverso una personale interpretazione degli avvenimenti del passato.

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17 DICEMBRE 2007 - GIANNI ROSSI

a cura di Ivan Fini e Arnaldo Davì

Abbiamo visto . . .

IL CIRCO, IMMAGINI DEL PRESENTE, RICORDI DEL PASSATO

Come si evince dal titolo l’audiovisivo era diviso in due parti ben distinte. La prima viveva sulla rievocazione rappresentata a San Felice al magico carnevale, che nel 2007 aveva per tema appunto il circo, l’altra sulla reale vita in un piccolo circo di paese. Il piccolo circo di paese è reale è qualcosa che induce al ricordo, alla curiosità del bambino, insomma ti riporta ad avere qui ricordi che possono essere indistinti ma anche chiari, reali e quasi presenti. La prima parte è basata su primi piani di personaggi magistralmente truccati e guidati da una regia di valore tanto che forse non riescono a dare giustizia al titolo perché (forse anche a causa della artificiosa sfocatura) inducono anche loro una certa nostalgia del passato più che una percezione del presente.

Tecnicamente che dire. La sfocatura poteva essere tridimensionale rendendo la foto più realistica. Questo sarebbe stato un lavoraccio con un impegno di risorse inumano, inoltre una manipolazione così palese ha rafforzato l’importanza del ritratto. Le musiche le ritengo appropriate alle immagini con un appunto sul ritmo nel secondo brano del “circo vero” dove a mio avviso la musica è troppo lenta rispetto la dinamicità delle immagini.

HAPPY DAYS

La felicità non è opulenza e questo viene messo in evidenza dal raffronto fra il “mondo occidentale” che spesso legge le festività come momento per mostrare la sua grandezza attraverso luci e acquisti e il “ ….  Mondo” costretto a combattere contro le difficoltà della vita anche nei giorni di festa e malgrado ciò riesce spesso a donarci un sorriso vero.

Il messaggio vero di questo lavoro è la sequenza finale di immagini che è forte e piena di significato perché vediamo la foto di una famiglia con al centro una culla povera costruita con quattro legni incrociati poi subito dopo c’è un bimbo che dorme nella culla e con una zoomata finale il bimbo diventa Gesù Bambino e non è sicuramente un caso che quella sia la culla che ha scelto per nascere. Crediamo che Gianni Rossi ci abbia voluto dire che, comunque sia, il vero simbolo del Natale è Gesù Bambino.

Questo il filo percepito dall’audiovisivo e propinatoci attraverso il paragone di immagini differenti, esasperato dal contrasto colore/bianco e nero. A tal proposito vedo alcune immagini delle vetrine con poco cromatismo, non proprio azzeccate in quanto affievoliscono leggermente il contrasto. La musica è rappresentata dal brano che ne evoca il titolo. Anche in questo lavoro si potrebbe ricercare un maggior dinamismo nelle immagini cambiandone il ritmo in alcuni frangenti.

I paragoni sono spesso difficili e a volte irriverenti ma voglio ugualmente dire che, a livello di messaggio, Happy Days ha lasciato maggiormente il segno e Il Circo ha lasciato il sogno.

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21 GENNAIO 2008 - ERMANNO FORONI

Abbiamo visto . . .

LE SCARPETTE BIANCHE (SIERRA LEONE)

Un canto lento, di misurata tristezza, accompagna lo spettatore nei vicoli infangati, tra muri sbrecciati e baracche fatiscenti, rese ancora più drammatiche da un bianco e nero cupo e contrastato. Dagli usci, aperti su stanze umili e disadorne, si affacciano occhi sfuggenti e rassegnati, occhi che guardano ma non vedono e forse non vogliono più vedere. Le tracce della guerra civile emergono evidenti dalle foto di Ermanno che propone inquadrature e ottimi tagli, capaci di sottolineare e denunciare il dramma e la sofferenza di un intero popolo.

Non mancano momenti di forte emotività. Attimi di tenerezza tra le corsie dell’ospedale o una improbabile partita a football con le stampelle, mentre gli arti artificiali assistono indifferenti, allineati a bordo campo. Il catalogo dei monchi, fotografati contro un muro: una lunga e pesante sequenza di uomini e donne mutilati dal machete di chi voleva bloccare le “libere” elezioni.

Le immagini si succedono non solo seguendo una logica descrittiva ma riescono a farci comprendere i meccanismi perversi che hanno fatto scaturire l’odio e la violenza: i cercatori di diamanti che setacciano la fanghiglia del fiume, la bilancia che pesa i preziosi, le urne elettorali.

Di fronte a questa denuncia sociale, violenta e spietata, che angoscia e commuove, elaborare un commento tecnico risulta fastidioso e inadeguato. Occorrerebbe segnalare gli errori di sviluppo del BN, con immagini talvolta sbiadite e talvolta eccessivamente contrastate, la mancanza di ritmi dinamici nella successione delle dissolvenze, una certa ripetitività di alcune immagini d’insieme, ma è evidente che i contenuti soverchiano pesantemente questi aspetti formali. Del resto Ermanno presenta il suo lavoro come “Immagini in bianco e nero sonorizzate”.

E le “Scarpette Bianche”? Le scarpette bianche siamo noi, il nostro mondo occidentale, moderno, evoluto, luccicante. Un mondo forse intravisto da quegli occhi spaventati in qualche televisore con antenna satellitare. Un mondo dove tutto è elegante, di classe, dove senza un Martini non si può partecipare al party. Fatto di donne bellissime, profumate e ingioiellate. Un mondo per il quale può valere anche la pena rischiare la vita, attraversando in gommone il Mediterraneo, nella penosa illusione di trovare un paio di “Scarpette Bianche”.

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11 FEBBRAIO 2008 - ANDREA PIVARI

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PRECIOS WATER e CRITTERS (CREATURE)

Il GAD si immerge nel mondo sottomarino, accompagnato da un esperto di fotografia subacquea che ha ottenuto, con i suoi audiovisivi fotografici, numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. 

Rappresentare ambienti naturalistici, nei quali i soggetti principali sono fauna e flora, può costituire un rischio. E’ facile cadere nel banale, proponendo un freddo elenco di “meraviglie” naturali, ben fotografate ma di significato più strettamente enciclopedico. Andrea ha invece presentato due “serie sonorizzate”, un tipo di audiovisivo fotografico privo di uno specifico messaggio ma caratterizzato da una scelta fotografica, musicale e da una regia finalizzate a descrivere e a trasmettere emozioni.  

I paesaggi di “PRECIOUS WATER”, tra rocce misteriose, luci filtranti dalle mille sfumature, ci fanno dimenticare di essere tra le sorgenti calde della Florida e ci conducono ai colori pastello dei libri di fiaba. E sfogliando queste pagine ecco comparire i misteriosi “lamantini dagli occhi di fata” del poeta Senghor. La colonna sonora, non particolarmente ricercata, costituisce un tappeto musicale che contribuisce a valorizzare le bellissime immagini. 

“CRITTERS” è un audiovisivo evidentemente più recente e maturo, che ci propone immagini che seguono temi specifici: il corteggiamento amoroso, l’incantatore di serpente o la buffa serie di pesci dall’aspetto grottesco. La colonna sonora asseconda e conferisce ironia a queste sequenze che sembrano attribuire sentimenti domestici agli abitanti del mondo sottomarino. Un’idea originale realizzata con un montaggio sofisticato (qualche dissolvenza in nero di troppo) che dà prevalenza al ritmo e alla regia.

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  3 MARZO 2008 - STEFANO NEGRI

Abbiamo visto . . .

ASPETTANDO IL NIRVANA

Strano a dirsi, ma la rete ferroviaria indiana, tracciata durante la dominazione inglese, ha fama di essere tra le più efficienti del mondo. Gli indiani amano il treno, amano la stazione che per molti diventa una prima casa. E proprio da una di queste stazioni che parte il lavoro fotografico di Stefano. Compresso dalla massa di persone, è alla ricerca di dettagli che riescono a evocare la confusione e il movimento. Gambe, piedi, mossi da un sonoro ritmato sul ritmo del treno, tra bellissimi controluce e suggestivi tagli fotografici.

Uomini e donne che il treno porta a diverse destinazioni o destini diversi. Il mercato con le sue bancherelle di mele ordinate e lucide, forse le uniche cose ordinate e lucide che si trovano in India. La preghiera e le abluzioni nel Gange, sottolineate da un brano musicale lento e intenso. Le auto e il traffico. Le carrozzelle e i loro magri portatori. Ovunque miseria e sporcizia. Il bianco e nero, purtroppo in parte penalizzato da un pessimo sviluppo (eliminare le immagini più critiche avrebbe giovato all’audiovisivo), conferisce drammaticità alle inquadrature. Tanti quadri di vita quotidiana (a volte non perfettamente definiti, con qualche ripetizione) dai quali traspare una indifferenza rassegnata.

Nell’induismo, diversamente dal Buddismo, il Nirvana è “l’assenza di vento che impedisce l’attizzarsi della fiamma del desiderio”. E’ l’atarassia (assenza di turbamento) della filosofia stoico ellenista di epicurea memoria.

L’indifferenza rassegnata che si coglie negli sguardi e nei gesti dei personaggi fotografati da Stefano ben rappresenta lo spirito, incomprensibile per noi occidentali, di un popolo che sa accettare con fatalismo una amaro presente.

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31 MARZO 2008 - CLAUDIO TUTI

Abbiamo visto . . .

SPAVENTAPASSERI

Un avvenimento banale, verosimilmente una rappresentazione cittadina che ha come protagonista questa presenza solitaria e romantica delle nostre campagne, si trasforma in forte elemento di riflessione.

I manichini colorati, in sfilata come soldati di piombo, assumono forme e atteggiamenti sempre più umani, <fidanzati sulla panchina>. Complice il testo parlato che sembra alitare su di loro un soffio di vita. Ma ereditare il gravame dell’animo umano, con il suo carico di odio, di invidia, di superbia diventa, per i compagni delle nostre fantasie infantili, causa di distruzione.  

Le mani attanagliano la terra e ai fulmini, alla pioggia nucleare e al vento che strappa le vesti, fino a mettere a nudo la croce di Cristo, segue la morte. Ed eccoli a terra, scomposti, dietro il filo spinato, in un’alternanza tra colore e bianco e nero, consumati dalle fiamme, fino a quando, lentamente, le rosse nubi dell’alba si illuminano della luce accecante del sole, riportando la speranza.

Un’idea originale, realizzata con una regia efficace. Claudio modella e compone abilmente il fotogramma utilizzando immagini di per sé non particolarmente coinvolgenti, ma creando, come in una sala di posa, scenografie finalizzate ad una simbologia delicata e profonda.
 

1976 ...

Ero al cinema quella sera quando la terra tremò a Gemona. Un fremito percorse la sala nonostante i 300 km in linea d’aria. Un fremito di angoscia percorse i nostri animi nel vedere i notiziari dei telegiornali. Lo stesso fremito ricompare dopo tanti anni, evocato dal montaggio magistrale di Claudio. Immagini di un borgo sereno, sconvolto dalle oscillazioni di un lampadario. Il buio, la luce, il messaggio: perchè a me, Signore? Ovunque distruzione e morte. 

Si scava tra le macerie. Forse respira ancora. File di bare. Ero tra i volontari a San Mango sul Calore, in Irpinia. 1980. Ho provato solo le scosse di assestamento ma ne ho avuto abbastanza. 

La tendopoli. E la vita sembra riprendere nei movimenti di un girotondo. Poi nuove scosse e ancora il terrore, fino alla fuga verso il mare. Pennellate di volti, sguardi rassegnati. Foto scattate da Claudio e foto di repertorio, assecondate da un sonoro avvolgente, scelte e montate per raccontare, ma soprattutto per trasmetterci le sue emozioni. 

Tra le impalcature e i ponteggi, grazie al sudore di un popolo che non si piega, rinascono i muri e i portici e, tra i fiori, ritorna il colore nella città ricostruita. I tetti di Gemona splendono alla luce argentata della luna.

 

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21 APRILE 2008 - DAVIDE NIGLIA

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... QUESTO DOVREBBE ESSERE UN FUNERALE ?

I figuranti di un circo decadente e onirico come quello di San Felice sul Panaro, nella fantasia di Davide Niglia, diventano i protagonisti di un tetro funerale. La musica solenne e i rintocchi delle campane si intonano perfettamente ai volti pallidi e cianotici delle comparse. Ma i pagliacci e i giocolieri non possono sfuggire alla loro vocazione e, al suono di una tarantella, trasformano il funerale in uno spettacolo gioioso, tra botti e fuochi d’artificio.

Un lavoro di forte impatto, che coinvolge per un abile ritocco fotografico, giocato sugli sfocati e sul viraggio dei colori, e per un’ottima regia. Il testo iniziale risulta non del tutto in tono con l’idea di fondo, rendendo il messaggio di comprensione non immediata.

 

QUANDO FU IL GIORNO DELLA CALABRIA ...

Una antica leggenda, richiamata da Leonida Repaci, costituisce il tema conduttore della ricerca geografica di Davide sulla Calabria. Ottima l’idea che sottrae alle immagini, non sempre di alto livello, il loro sapore documentaristico e le piega ad un copione letterario: Calabria, un paradiso terrestre ottenuto da un pugno d’argilla e offerto da Dio all’Uomo.

Paesaggi, rocce, riviere si alternano a interni di chiese e affreschi bizantini. Ma ecco: un brusco passaggio al bianco e nero, affiancato da sonorità drammatiche ben congeniate, sottolinea l’intervento distruttivo del maligno. Muri screpolati, tetti divelti, villaggi abbandonati.

Metafora sociale in una regione nella quale ancora serpeggia la criminalità organizzata. Ma un Dio di giustizia proietta la Calabria verso una luce di speranza.

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13 OTTOBRE 2008 - RAL '81: BENCIVENNI, FONTANA, ROGER

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DASTIN

Una serata con gli amici di S. Giovanni in Persiceto, Alessandro, Loris e Roger, è sempre molto piacevole. Ancora una volta audiovisivi di qualità che hanno stimolato commenti ed analisi profonde e hanno suscitato un giudizio complessivamente molto favorevole.

Dei loro lavori colpisce l’idea, che nasce talvolta da bizzarre fantasie, come nel caso di DASTIN, una visitazione del carnevale di S. Felice, giocata sulla somiglianza tra un simpatico figurante nel giorno delle nozze e nientemeno che l’attore Dustin Hoffman.
Il nostro italianizzato DASTIN diventa, per un giorno, un divo Hollywoodiano. Assieme ai suoi sogni, vola la fantasia degli spettatori tra belle fotografie, citazioni cinematografiche e colonne sonore a tema ben azzeccate. Per un momento, la torre del castello di S. Felice, si slancia nel cielo del tramonto come un grattacielo della Grande Mela.
 

LIBERA USCITA

Il toro di Siviglia, fuggito dall’Arena, si aggira per le campagne assaporando finalmente la libertà. Colline, alberi, case, villaggi. Si illude di essersi scrollato di dosso la sua condanna, ma il torero lo attende dietro l’angolo, riportandolo alla triste sorte di toro matato.

Ricco di riferimenti e simbologie, una metafora dell’Uomo che tenta di sfuggire al suo destino, ma viene inesorabilmente riportato alla dura realtà di vinto. L’eterna lotta di don Chisciotte contro i mulini a vento.

Un lavoro importante quindi, con un forte messaggio, non sempre supportato, a mio personale giudizio, da immagini di qualità. Discutibili, dal lato estetico, alcune ricostruzioni ambientali nel villaggio abbandonato e lo stesso toro peregrinante conserva una fisionomia da muppet, inadeguata alla drammaticità del ruolo che svolge.

 

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24 NOVEMBRE 2008 - ANTONIO MANGIAROTTI

Abbiamo visto . . .

TOCCATA

Gli audiovisivi fotografici di Antonio Mangiarotti nascono dalla colonna sonora che diventa elemento di ispirazione di nuove idee e nuova creatività. Questa volta l’opera scelta, la Toccata e fuga in Re minore di   J. S. Bach, costituisce una vera sfida fotografica, da una lato per la notorietà del movimento e dall’altra per il suo ritmo. Inevitabile il ricorso ad una tecnica di gestione delle immagini molto sofisticata, nella quale Antonio è maestro.

I pioppi della Lomellina, in una successione di mossi, sfocati e sfumature di colore, accolgono e assecondano le note del Compositore, come gigantesche canne d’organo.

 

LOMELLINA

Le mondine al lavoro nella Lomellina, riviste in un morbido bianco e nero di foto d’epoca, contrastano con le cascine abbandonate e diroccate di queste valli, ove il lavoro manuale è stato sostituito dalla tecnologia. La colonna sonora scelta, che impone ritmi serrati, e alcune soluzioni tecniche conseguenti, come l’impiego del cut, non appaiono adeguate ad un tema nostalgico che vuole richiamare i ricordi della giovinezza.

 

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15 DICEMBRE 2008 - ANDREA COLLEONI

Abbiamo visto . . .

X-MAS FAILURE

E’ arrivato il Natale anche per lui, per l’omone meccanico, l’uomo robot del terzo millennio, che, con i suoi movimenti a scatti, deve allestire l’albero nel soggiorno di casa. Gli ingredienti sono pronti: l’abete artificiale, le palle colorate, i festoni dorati e un po’ di magia per assemblare il tutto. Anche il cane meccanico, a scatti, fa capolino per dare una mano, e i regali arrivano sospinti da un calcio. Una catena di montaggio, scandita dalle note di “A White Christmas” in versione tecnologica.

1 minuto e 40 secondi sono fin troppi per fare l’albero di Natale: è ora di spegnere le luci e di sedersi finalmente davanti a “madre televisione” che ha assistito, imperturbabile, al noioso, ma pur sempre necessario, rituale natalizio.
Un Natale svuotato di sentimenti e di amore è dietro l’angolo. Passa attraverso le vetrine  dell’opulenza, si serve della carta di credito, entra furtivamente nelle nostre case sulla cresta delle onde elettromagnetiche del digitale terrestre. Prende a prestito i significati profondi del nostro Credo e della Tradizione e li trasforma in simbologia commerciale.
L’omone meccanico sorride e ci strizza l’occhio: aspetta che anche noi, come lui, cadiamo nella trappola.
 

CANENERO

Apre le fauci, il canenero, e le fauci si trasformano in un urlo straziante. Appaiono i simboli di una infanzia spezzata dalla violenza, in una atmosfera livida, virata dall’alto contrasto e dalle dominanti di colore. La sequenza martellante delle immagini, al ritmo frenetico della colonna sonora, ci ripete fino all’esasperazione che le porte sono sbarrate, che non ci sono vie di fuga, che non si può scappare dal tunnel della memoria, dall’incubo del dramma subito.

La continua e velocissima variazione del punto fotografico di ripresa, ben lontana dalla logica cinematografica e quindi da brutte simulazioni del movimento, risulta estremamente efficace e appare perfettamente finalizzata al messaggio.
 

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16 FEBBRAIO 2009 - GIORGIO ALLOGGIO

Abbiamo visto . . .

IL ROSSO

Un gioco estetico tra musica e colore. Le fotografie “still life” di contenuto frivolo e spesso ironico, raggruppate per tematiche specifiche, dagli improbabili accessori d’abbigliamento ai dettagli del mondo automobilistico, sono accomunate dal colore della passione, il rosso, in una successione a ritmo sempre più incalzante, fino ad una totale fantasmagoria di linee colorate e luminose.
Il bicchiere di vino rosso sembra preludere alla ubriacatura di immagini che caratterizzano il finale travolgente. Una fotografia di alto livello tecnico. Un montaggio discutibile, specie nella prima parte, per la presenza di evidenti difetti di sincronismo, probabilmente condizionati dal software utilizzato.
 

16 FEBBRAIO 2009 - FIORANI SAURO

Abbiamo visto . . .

NEL VENTRE DEL MOSTRO

Il mostro compare all’alba, tra detriti e filo spinato, vecchio e macilento, le pareti sventrate e corroso dalla ruggine. Con timore e prudenza, guidati dalla attenta ricerca estetica di Sauro, percorriamo i corridoi e scendiamo le scalette del suo ventre.
Le travi allineate, in una grafica rigorosa, sono le costole di un torace provato. Colpi di luce, di forte suggestione, entrano dalle sue branchie. Ansima il mostro morente mentre esploriamo i suoi meandri. Ecco i detriti mal digeriti dei suoi pasti, ecco gli indumenti stesi e gli oggetti di Mastro Geppetto nei visceri della balena.
Giusta e doverosa la denuncia anche se talvolta il desiderio di informare e di accusare, richiamandoci alla realtà, guasta la poesia di un dolce ritorno alle fantasie della nostra infanzia.

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