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ABBIAMO
VISTO . . .
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Rubrica
di recensioni curata da Gianni Rossi
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Autori
in ordine alfabetico
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Alloggio
Giorgio |
IL ROSSO |
16
febbraio 2009 |
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Anzola Stefano |
UN SALTO PER
FASUM (ETIOPIA) |
29 ottobre 2007 |
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Barbieri
Arrigo |
La
VALLE DEI DOSSI E DELLE ACQUE |
6
novembre 2006 |
MAGICI
SIBILLINI |
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Bartolozzi
Giancarlo |
RIFLEXIA |
20
marzo 2006 |
INSHALLAH |
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Bassi Nando |
INDIA |
22
gennaio 2007 |
INDIA,
TSUNAMI E ALTRE STORIE |
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Bencivenni,
Calzati, Fontana, Roger, Serra |
FLATUS
VOCIS |
20
febbraio 2006 |
IN
ATTESA DI . . . |
VENEZIA
- BIENNALE 2005 |
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Bovina
Luciano |
GENTE
D'ETHIOPIA |
8
maggio 2006 |
ALL'OMARINO
IGNOTO |
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Colleoni
Andrea |
X-MAS
FAILURE |
15 dicembre
2008 |
CANENERO |
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Davighi Lorenzo |
L'UOMO
VIVO |
26 marzo 2006 |
LE CAREZZE |
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Donnini Enrico |
MI SONO
INNAMORATO DI TE ...
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5 marzo 2007 |
LUCE
SMARRITA
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Fiorani
Sauro |
NEL VENTRE
DEL MOSTRO |
16
febbraio 2009 |
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Fontana
Loris |
L'EDEN
RITROVATO |
9
ottobre 2006 |
DALL'ALBA
AL TRAMONTO |
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Forino Guido |
PERU' ...
DOVE LA STORIA VIVE |
19
novembre 2007 |
UNA
PROFEZIA SCOLPITA NELLA PIETRA |
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Foroni Ermanno |
BLOCCO 18 |
12 febbraio 2007 |
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Foroni Ermanno |
LE
SCARPETTE BIANCHE (SIERRA LEONE) |
21 gennaio 2008 |
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La Lanterna di
Mocabalù |
I
PESCATORI NEL GOLFO DEL BENGALA |
16 aprile 2007 |
CALCUTTA,
SPECCHIO DELL'INDIA |
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Malfetti
Stefano |
BANHOFF |
27
novembre 2006 |
UN
GIORNO COME UN ALTRO |
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Mangiarotti
Antonio |
TOCCATA |
24
novembre 2008 |
LOMELLINA |
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Montali
Gigi |
UN GIORNO,
UNA VITA, LA VITA IN UN GIORNO... |
28 maggio 2007 |
UN ANNO
DOPO |
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Negri
Stefano |
L'EREDITA'
SEGRETA |
23
gennaio 2006
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Negri Stefano |
ASPETTANDO
IL NIRVANA |
3 marzo 2008 |
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Niglia Davide |
...QUESTO
DOVREBBE ESSERE UN FUNERALE? |
21 aprile 2008 |
QUANDO FU
IL GIORNO DELLA CALABRIA ... |
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Pastorino
Luca |
CONTRAPPUNTO
(BURKINA FASO) |
3
aprile 2006 |
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Pastorino
Luca |
HAKUNA
MATATA (TANZANIA) |
18
dicembre 2006 |
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Pinardi
Gabriele |
GAUDI' |
13
maggio 2006 |
HAOJ
SLOVACCHIA |
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Pivari Andrea |
PRECIOUS
WATER |
11
febbraio 2008 |
CRITTERS -
CREATURE |
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Pocetti Gaetano |
SOLI |
11
giugno 2007 |
IL PARADISO
NASCOSTO |
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Ral '81;
Bencivenni,
Calzati, Fontana, Roger |
DASTIN |
13 ottobre
2008 |
LIBERA
USCITA |
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Rossi Gianni |
HAPPY DAYS |
17 dicembre
2007 |
IL CIRCO,
IMMAGINI DEL PRESENTE, RICORDI DEL PASSATO |
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Turcato
Walter |
GOD OF
THUNDER (ETNA) |
8 ottobre
2007 |
LE NUVOLE |
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Tuti Claudio |
SPAVENTAPASSERI |
31 marzo 2008 |
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1976 |
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INCONTRI
E SERATE -
2006
23
GENNAIO 2006 - STEFANO NEGRI
Abbiamo visto
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L’EREDITA’
SEGRETA
Una serata molto
gradevole in compagnia di Stefano Negri ha riaperto le attività
del GAD. L’EREDITA’
SEGRETA è il titolo di un racconto del premio Nobel
guatemalteco Rigoberta Menchù e da questo testo Stefano ha
scelto numerosi capoversi utilizzandoli come commento vocale
alle immagini da lui scattate in Guatemala. Ne risulta una
suddivisione in capitoli secondo un percorso che dalla natura
giunge all’uomo, colto nel semplice contesto di villaggi e
mercati.
L’impostazione del
lavoro ha offerto ai presenti l’opportunità di dibattere il
tema del commento parlato. La scelta dello speaker è
importante: fortunato chi si può permettere un
professionista, ma anche un lettore “domestico” deve
rispettare certe regole. Frasi brevi, scandite, interrotte da
frequenti pause vengono recepite meglio dal pubblico.
I brani scelti devono
essere in tono con le immagini, ma fotografie che riproducono
banalmente i contenuti del parlato creano un sensazione di
ovvio che può risultare sgradevole. Bravo Stefano che non è
caduto in questo tranello.
Testi particolarmente
profondi, come quelli della Menchù, richiedono immagini
altrettanto profonde ma non sempre la nostra breve vacanza ci
consente di raccogliere il materiale adeguato. E’ stata
molto apprezzata la qualità fotografica, con tagli personali
e originali, sottolineata da una buona colonna sonora.
INIZIO
PAGINA
20
FEBBRAIO 2006
-
Bencivenni, Calzati,
Fontana, Roger, Serra
Abbiamo visto .
. .
FLATUS VOCIS;
IN ATTESA DI ...; VENEZIA-BIENNALE 2005
Gli amici del C. F.
“Il Palazzaccio” di S. Giovanni in Persiceto (BO) hanno
proposto alcuni lavori realizzati in “collettiva”, sia in
fase di ripresa fotografica che nell’allestimento. Lavori
non didascalici ma concettuali, in grado di suscitare emozione
e di invitare alla riflessione.
“FLATUS
VOCIS”, un itinerario simbolico di liberazione della donna
(o dell’Uomo) da gioghi ancestrali, imprigionata da
improbabili vincoli ma capace di ritrovare l’armonia grazie
alla forza interiore. Un sapiente gioco di luci accompagna e
sottolinea il percorso.
“IN
ATTESA DI . . .” Gli sguardi annoiati dei compagni di
traghetto nascondono storie, ricordi, fantasie, ansie che gli
autori hanno evocato mediante flash dinamici in rapida
successione. L’originale idea propone una visione globale
dell’Uomo, non mero involucro,
ma portatore di ricchezze e di complessità. Realizzato in
analogico negli anni ‘70, è stato trasformato in digitale
mediante un impegnativo, e non sempre riuscito, lavoro di
recupero delle DIA, deteriorate dal tempo.
“VENEZIA
– BIENNALE 2005” Sotto lo sguardo ironico della Gioconda,
gli autori si sono “immersi” tra le originali opere
artistiche creando nuove fantasie di luci e colore. Il
pubblico è diventato parte del collage.
I
tre lavori sono accomunati da un “ermetismo”
di fondo, che prevale nel primo. I diaporama a tematica non descrittiva, spesso per la rapida successione di immagini, di
concetti, di simbologie, si espongono a difficoltà di
comprensione e interpretazione. I commenti introduttivi
talvolta risultano fuorvianti, condizionando il pubblico a
confrontare la descrizione verbale con le immagini. Non sempre
la fotografia è specchio della realtà: più spesso riflette
le idee, le tensioni, i sentimenti dell’autore ed è
difficile penetrare attraverso l’obiettivo, il mirino, la
cornea, la retina fino alla corteccia di chi ha elaborato e
voluto quella immagine. Non
è sempre possibile e tanto meno necessario decodificare l’ermetismo. Meglio allentare le redini della fantasia. Sarà più
facile cogliere le armonie, i linguaggi di colore, le
assonanze musicali e trasformarle nelle proprie
emozioni. “Non ho capito ma mi piace”.
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20
MARZO 2006
-
Gian Carlo Bartolozzi
Abbiamo
visto . . .
RIFLEXIA
e
INSHALLAH
Ben diversi nella
collocazione geografica e nei contenuti, i due lavori hanno un
punto di convergenza squisitamente fotografico, rappresentato
dalla interpretazione delle luci, nella quale Giancarlo
dimostra di essere maestro.
RIFLEXIA
è una ricerca puramente estetica su Venezia, giocata con
immagini suggestive, di taglio pittorico, che si susseguono
mediante una dissolvenza incalzante. Il punto di ripresa
originale, utilizzando riflessi apparentemente casuali di
palazzi, ponti, calli, crea una atmosfera onirica e irreale
che sottolinea il fascino di questa città. La colonna sonora
monotematica, un brano di Vangelis troppo noto e altrimenti
sfruttato, forse eccessivamente drammatico, è abilmente
utilizzata nei cambi istantanei, che introducono immagini del
reale, non tutte purtroppo di buon livello fotografico.
INSHALLAH,
se Dio lo vuole. Dal frastuono dei villaggi e dei mercati il
sentiero passa attraverso gli archi e i portici della moschea,
per raggiungere gli spazi dilatati del deserto. Qui finisce la
strada, la nostra strada. Il nostro posto,
nell’inferno o nel paradiso è già segnato, dice il
profeta. La sequenza di immagini descrittive, di contenuto
geografico, impeccabili nel taglio ma discutibili nella resa
cromatica, lascia spazio alle splendide geometrie di luci e
ombre della moschea. I tiranti della tenda beduina sono un
indispensabile raccordo con il deserto, anche se il loro
significato sfugge per la banalità della ripresa fotografica.
Gli spazi si dilatano sempre più tra le dune di sabbia, nelle
ombre della sera, nelle ombre del nostro tramonto, dove
ci attendono gli occhi inquietanti del destino mortale.
Grazie
a Gian Carlo che ha lasciato al GAD una copia dei due lavori,
in formato .exe e in DVD. Purtroppo l’utilizzo di M-Object
costituisce un limite alla diffusione dei diaporami in quanto
il file .exe che produce richiede un PC dotato di una scheda
video molto sofisticata che non tutti (io compreso)
possiedono.
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3
APRILE 2006
- LUCA PASTORINO
Abbiamo
visto . . .
CONTRAPPUNTO
(BURKINA FASO)
Immagini di una popolazione estremamente
povera del Sahel, nel Burkina Faso. L’idea di Luca è
semplice: da una parte il duro lavoro, dall’altra danze,
suoni e rituali e così la gioia fa da contrappunto alla
fatica, la festa fa da contrappunto al sudore del quotidiano.
Nulla di nuovo
pertanto, se non fosse per l’abilità con cui ha saputo
dosare gli ingredienti che compongono l’opera. Le mani fanno
da cornice ai volti, gli sguardi si perdono nello sfocato, il
sudore e la sporcizia della pelle invadono l’inquadratura.
Entra rispettoso nelle fatiscenti case e ci propone i dettagli
di una vita grama, con tagli sapienti. Le espressioni
spontanee e gli sguardi intensi di chi lo accoglie fanno
intuire la sintonia che è riuscito a creare con questa gente.
Negli interni ha sfruttato il mezzo digitale che consente di
variare la sensibilità ISO in automatico, anche se
l’operazione penalizza la resa cromatica.
Il ritmo è
lento e misurato nella descrizione dell’ambiente e del
lavoro ma diventa incalzante, addirittura frenetico nelle
danze, con una successione talmente rapide da creare una
sequenza quasi cinematografica, traghettando immagini singole
talvolta di qualità discutibile. La colonna sonora scandisce
perfettamente le variazioni di ritmo.
E stata
sottolineata una certa debolezza della fotografia per quanto
concerne la “profondità” e il colore, attribuita, un
po’ troppo genericamente, alla tecnica digitale. Il discorso
è in realtà molto più vasto e meriterebbe un incontro
“dedicato” che permetterebbe di mettere in comune le
reciproche esperienze. A chi è interessato consiglio la
lettura dell’articolo “Ritorniamo in camera oscura”,
reperibile nella sezione DIAPORAMA di questo sito.
Era con noi un
illustre ospite, il prof. Marco Zarattini, reggiano, critico
d’arte, diviso tra l’Italia e la sua seconda patria, gli
Stati Uniti. Si è unito ai nostri commenti esprimendo il suo
apprezzamento per il lavoro di Luca.
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8
MAGGIO 2006
- LUCIANO BOVINA
Abbiamo
visto . . .
GENTE D'ETHIOPIA e ALL'OMARINO
IGNOTO
Una serata molto ricca per il GAD grazie ai due lavori che Luciano
Bovina ha proposto, uno descrittivo e di documentazione,
l'altro profondo e concettuale, entrambi uniti dalla sue doti
fotografiche. E' risultata evidente la sua capacità di
elaborare e di proporre lavori di concezione diversa, sempre
con analogo successo. Di entrambi ho apprezzato il commento,
sempre in prima persona, con un sapore autobiografico molto
coinvolgente.
Al GAD è imperativa la discussione e sono inevitabilmente emersi pareri
contrapposti. Credo
che una dote inalienabile del GAD sia parlare "fuori dai
denti", senza peli sulla lingua, lasciando da parte le
ipocrisie che spesso troviamo in altre serate.
"Fuori dai denti" penso che in GENTE D’ETHIOPIA splendidi
momenti di fotografia ricercata e suggestiva si siano
alternati a brevi racconti caratterizzati da una eccessiva
meticolosità descrittiva, certamente motivata dal desiderio
di documentare in modo completo. Questo ha portato a cadute di
pathos con conseguente perdita di attenzione e ha allungato
inutilmente la durata del diaporama.
All’OMARINO IGNOTO mi ha toccato dentro. Mi sono rivisto nelle mie
passate peregrinazioni per il mondo, sempre incapace di
capire i ritmi, i meccanismi di vita. Una metafora del
desiderio di ogni viaggiatore di conoscere, di vedere il volto
di questa gente ai margini della sopravvivenza.
Scrive
Moravia: "Gli africani camminano. Ho viaggiato in
Africa nera per migliaia di chilometri e dappertutto ho veduto
singoli individui o coppie di un uomo e di una donna oppure
piccole famiglie, oppure ancora gruppi di dieci, venti persone
di ambo i sessi e di tutte le età che camminavano in
solitudini spaventose, per le sterminate lande pullulanti di
alberi tutti eguali della savana oppure per i sentieri che,
simili a gallerie, sforacchiano la compatta massa tenebrosa
della foresta pluviale. Dove vanno questi africani migranti?"
(da "A quale tribù appartieni" pag. 43 -
Bompiani Ed.).
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31
MAGGIO 2006
- GABRIELE PINARDI
Abbiamo
visto . . .
GAUDI'
e AHOJ SLOVACCHIA
Gabriele
si propone con temi per lui insoliti. Eravamo abituati ad
atmosfere surreali, a contenuti onirici talvolta angoscianti
ed ora presenta inaspettatamente due viaggi. Barcellona
e la Slovacchia non vengono certo descritte ma interpretate
con stile inconfondibile.
Gioioso
e solare il lavoro su Gaudì: un mosaico di immagini che si
“fondono” l’una nell’altra parafrasando i mosaici del
Parc Guel e le sculture della Sagrada Famiglia. Perchè di
“fusione” si tratta, non di dissolvenza. Con tecnica
raffinata Gabriele fa apparire sul fotogramma una parte del
successivo, creando una diversa scena che a sua volta in un
attimo si scompone per fondersi con un nuovo frammento e
condurre ad una nuova immagine. Difficile da descrivere. Penso
anche da realizzare. Ne risulta uno scorrimento velocissimo,
gradevole in certi momenti, frastornante in altri. La musica
asseconda queste sequenze. Gaudì scompare, è un pretesto.
Pure la fotografia scompare, piegata alle esigenze di questo
gioco di ritmi e immagini che si rincorrono.
“Paesi
e pensieri”, la frase di chiusura, sintetizza il lavoro
sulla Slovacchia. Brevi racconti di una vacanza si succedono
sullo schermo. Ogni racconto, ogni luogo evoca sensazioni
personali. Squallidi condomini di periferia si alternano a
boschi di conifere, giocatori di hockey, la miniera, il treno,
il cimitero. La tecnica è sempre la stessa: immagini in
“fusione” in successione filmica. E da films è ricavato
il parlato (perchè no?). Opportunamente rielaborato e mixato,
a volte netto, a volte volutamente incomprensibile, vuole
trasmettere sensazioni personali: “Sono la morte, “Nel
mezzo del cammin di nostra vita”, “Uno scopo c’è per
tutti”. Non sempre ci riesce: talvolta emerge uno
scollamento e una scarsa omogeneità tra le immagini e il
testo. Poca fotografia, molta creatività. Sicuramente una
nuova proposta di regia da valutare con attenzione.
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9
OTTOBRE 2006 - LORIS FONTANA
Abbiamo
visto . . .
L'EDEN
RITROVATO
e DALL'ALBA
AL TRAMONTO
Il messaggio di “EDEN
RITROVATO” è scontato: la città è un miraggio, che stai
a fare in campagna? e, come nella canzone di Giorgio Gaber,
ecco, incalzanti, le immagini dei palazzi, delle strade, del
traffico, che seguono le battute musicali con ritmo sempre
più frenetico ed esasperante. Ritroverai il tuo eden nei vasti paesaggi collinari, tra i giochi
cromatici dei campi fioriti che sfumano l’uno nell’altro
come in un sogno. Elemento originale di riflessione è la
nota autobiografica, espressa, purtroppo in modo breve e
quasi accidentale, con immagini della scuola elementare e
poche altre, in un discutibile (ma migliorabile) bianco e
nero. La vera idea del lavoro. Buona la fotografia e il
supporto musicale.
“DALL’ALBA AL
TRAMONTO” non contiene messaggi: una “serie
sonorizzata” sul Festival degli aquiloni, con tagli originali, geometrie
insolite, accostamenti cromatici. Qualche immagine
eccessivamente descrittiva ci riporta al banale ma il
finale, fantasioso e creativo, rende merito alle capacità
fotografiche di Loris.
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6
NOVEMBRE 2006
- ARRIGO BARBIERI
Abbiamo
visto . . .
LE
VALLI DEI DOSSI E DELLE ACQUE e MAGICI SIBILLINI
Cammina
Arrigo all’alba, con la sua borsa fotografica, per
“caradoni” di campagna o sentieri collinari e noi con lui,
al suo fianco, curiosi delle sue curiosità, delle sue
scoperte semplici e stupende. Una libellula, una ragnatela in
controluce, la neve e la nebbia di mezza costa, lo stupore
dell’incontro con la volpe.
Le
immagini scivolano su un tappeto musicale. Non esiste logica
nella sequenza, se non quella delle ore trascorse nei silenzi
della natura e della successione delle stagioni. La città di
notte non c’entra, spezza il ritmo, che poi riparte nelle
vaste distese. Entrambi i lavori riflettono l’animo semplice
e la personalità di Arrigo e vivono di un’ottima
fotografia. Grandi pregi, anche se l’audiovisivo oggi ha
maggiori pretese di montaggio, di drammaturgia, di regia.
Attendiamo Arrigo con il suo orso marsicano.
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27
NOVEMBRE 2006 - STEFANO MALFETTI
Abbiamo
visto . . .
BANHOFF
Stefano
Malfetti, autorevole
amico di Firenze, propone il suo ambiente di lavoro: “BANHOFF”,
la stazione. La musica, ritmata come il rumore del treno,
scandisce le immagini di un mondo frettoloso, sfuggente e
impersonale. I sapienti mossi (ottima qualità) fanno intravedere e intuire messaggi umani (il
barbone, l’attesa, i fidanzati, le mani) ma l’orologio a
muro, chiave di lettura del lavoro, si impone inesorabile. Emerge una folla in costante ritardo, angosciata, che ha
esaurito lo spazio per il sentimento. Nulla a che vedere con
il testo finale (e con la presentazione verbale) che risultano
non in sintonia con i contenuti. La scelta del mosso, il ritmo
non devono essere relegati ad
una mera ricerca estetica: possiedono in realtà una
intrinseca drammaturgia, evocativa, in questo caso, di
frustrazione e alienazione. E ancora più frustranti le
immagini fisse: il tabellone degli orari, i cartelli
pubblicitari, la biglietteria, spettatori impersonali della
quotidiana corsa di una umanità in movimento. Un messaggio profondo e
inquietante, quello di Stefano.
UN GIORNO COME UN ALTRO
Nel secondo lavoro “UN GIORNO
COME UN ALTRO”, trascrizione fotografica dell’omonimo
film, Stefano ha espresso un’ottima fotografia, ovviamente
facilitata dalle scene predisposte dal regista e realizzate da
uno staff di professionisti. Poco di suo, se si escludono
alcune originali inquadrature e l’impiego di una
interessante tecnica di dissolvenza, con immagini che emergono
dallo sfocato, ben intonata all’ambientazione ottocentesca
del film.
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18
DICEMBRE 2006 - LUCA PASTORINO
Abbiamo
visto . . .
HAKUNA
MATATA
Arriva
il Natale e il GAD diventa buono, deludendo forse i numerosi e
graditi ospiti che si aspettavano un po’ di guerriglia. Il
preludio del lavoro di Luca è una rapida carrellata
sull’Africa del nostro immaginario, fatta di grandi spazi, di
animali, di tramonti sulla savana, che l’estrema rapidità
delle sequenze (forse eccessiva), lascia solo intuire. Si
percepiscono inquadrature splendide che fuggono via veloci,
lasciandoci inappagati, ma l’improvviso cambio del ritmo e
della sonorità ci accompagnano al cuore del lavoro: l’uomo
africano “ hakuna matata ” senza problemi.
L’obiettivo di Luca esplora villaggi e poveri mercati, si
avvicina a gruppi etnici insoliti, legati a rituali rudimentali,
riuscendo a cogliere nei volti e nelle espressioni lo spirito di
un popolo che accetta con serenità e dignità la propria
miseria. Inquadrature ben composte, ricerca dei particolari,
tagli decisi e un preciso uso delle ottiche e della profondità
di campo valorizzano l’opera, anche se il tentativo di
descrivere “cinematograficamente” specifiche attività
(accensione del fuoco, danza masai) appare una leziosità
inutile e otticamente fastidiosa. Ben indovinati gli
accostamenti musicali, meno convincente la cromaticità delle
immagini, con prevalenza di toni freddi.
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INCONTRI
E SERATE -
2007 |
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22 GENNAIO 2007 - NANDO BASSI |
Abbiamo
visto . . . |
INDIA |
Ogni
viaggiatore riporta dall’India un minuscolo frammento che
racchiude dentro di sé come un tesoro e che diventa la “sua”
India. Pur in luoghi diversi, nei bei controluce sul Gange, tra
la gente al lavoro, sulle vaste spiagge dell’oceano, il
frammento di Nando è fatto di sguardi. Occhi curiosi,
stupiti, ingenui, complici, in primo, in primissimo piano,
sottolineati da una dissolvenza ben ritmata e da una suggestiva
colonna sonora. L’ambiente semplice e operoso del povero
villaggio è espresso da mossi ben costruiti che avrebbero
meritato un sonoro dedicato. Buona la fotografia, originale nei
primi piani e nelle riprese ravvicinate. La sequenza della abluzione nel Gange è inutilmente
ripetitiva. Ottima la resa cromatica delle immagini proposte in
digitale. Il titolo del lavoro è un riferimento geografico
generico rispetto ai contenuti espressi. |
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INDIA, TSUNAMI E ALTRE STORIE |
Una
tragedia che si è esaurita in pochi, catastrofici attimi e che
ha strappato migliaia di vite umane, sconvolgendo vasti
territori. Nando, giunto nell’area colpita dodici giorni dopo,
ha realizzato un reportage rispettoso e discreto, in sintonia
con il suo carattere e il suo stile fotografico. Ha visitato e
ci ha proposto, in sequenza cronologica, due regioni che hanno
subito danni di entità ben diversa. Le immagini della prima
area, scarsamente coinvolta, contengono pochissimi riferimenti
al disastro e risultano pertanto fuorvianti nei confronti
dell’argomento. Il rigore narrativo talvolta può essere piegato
alle esigenze emozionali. |
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Il secondo
territorio, colpito più pesantemente, ha permesso di realizzare
un reportage “evocativo” sottolineato da un ottimo
sonoro. Imbarcazioni sfasciate, ammassate sui tetti, nelle
strade, tra le macerie delle case. File di donne in attesa di
cibo, sguardi persi, mani tese verso il camion degli aiuti. Non
vi è descrizione cruenta e, per fortuna, siamo ben lontani dalla
aggressività fotografica a cui ci hanno abituato i media.
Talvolta è sufficiente una barca sfasciata e un volantino che
riporta il volto di un bimbo con la scritta missing, per
emozionare. |
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12
FEBBRAIO 2007 - ERMANNO FORONI |
Abbiamo
visto . . . |
BLOCCO 18 |
Eravamo
abituati a reportage coraggiosi, in paesi lontani, con
situazioni improponibili ma ora Ermanno rientra tra i “comuni
mortali”, con immagini realizzate in luoghi finalmente
accessibile a tutti. Un lavoro commissionato dall’Istituto
ISCOS-CISL gli ha consentito di fotografare Sighet, un piccolo
paese della ROMANIA, nella regione del Maramures. Ed ecco la
curiosità di vedere “come se la cava” quando la fotografia non è
supportata da avvenimenti di portata internazionale o da
condizioni ambientali estreme. E ancora una volta non ci ha
deluso.
Il suo
obiettivo ricostruisce i frammenti di una situazione sociale
disgregata. Sale le scale pericolanti di palazzi scrostati,
percorrendo tetri corridoi su cui si aprono miseri locali
disadorni e malsani. Fondamentale, come al solito, è l’incontro
con la gente, i cui sguardi via via rassegnati, delusi, ostili,
sprezzanti si incrociano con le espressioni di tenerezza per la
propria famiglia o di orgoglio per i propri muscoli, vuota
illusione di emancipazione sociale.
Gli
strumenti sono caratteristici di Ermanno. Potente la fotografia:
un bianco e nero incisivo e molto contrastato, tagli decisi ed
essenziali, sfocature su piani sovrapposti. Più debole la
colonna sonora: fortemente emozionale il brano cantato, meno in
sintonia il pezzo di chitarra. Discutibile il ritmo che mantiene
tempi e dissolvenze pressoché costanti.
La sua
fotocamera coglie semplici oggetti del quotidiano, il pane, la
macchina da cucire, i panni stesi in cucina e, in un’abile
composizione ambientale, li trasforma in simboli evocativi. Gli
scatti proposti descrivono, emozionano, ma non interpretano.
Ermanno, come abitudine, non espone il suo punto di vista e
apparentemente il suo lavoro sembra non contenere messaggi. Ma
il messaggio c’è, e traspare dalla forza delle sue immagini che
sottendono la condanna di un regime di sfruttamento e di
repressione. E così la processione che conclude il lavoro: una
risposta della comunità di Sighet che si raccoglie attorno ad
una fede religiosa per anni soffocata e ritrova così il coraggio di
sperare. |
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5 MARZO 2007 - ENRICO DONNINI |
Abbiamo
visto . . . |
MI SONO INNAMORATO DI TE ...
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La tentazione
di rendere omaggio alla propria città è inevitabile per ogni
fotografo e gli ingredienti a Firenze non mancano. La cupola del
Brunelleschi e il Palazzo della Signoria fanno da sfondo alle
forme opulenti delle sculture di Botero e alle sfere di bronzo
di Arnaldo Pomodoro, esposte in una splendida composizione al
Forte di Belvedere. L’arte nell’arte.
Ma l’arte
non è solo contemplazione: per Enrico è motivo di riflessione. E
così, tra le fotografie delicatamente descrittive, scorrono
sogni e sentimenti espressi da un testo personale, profondo ed
emozionale. Dal terrazzo, dagli angoli dove Enrico ritrova i
silenzi che tutti noi cerchiamo, lontano dalle contraddizioni di
città sempre più difficili da vivere e da capire, le sculture di
Botero diventano magiche mongolfiere che portano i sogni verso
il grande protagonista, il cielo di Firenze. |
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LUCE SMARRITA |
Occhi,
macchie di colore, scoppi, rumori angoscianti. Ed ecco emergere
i tetri figuranti del Carnevale di S. Felice che diventano, per
Enrico, i reduci di un remoto dramma. Pallide figure con divise
sgualcite sfilano come zombi per ricordarci i fantasmi della
guerra.
Le
immagini, usuali per chi conosce questa manifestazione, sono un
pretesto per sviluppare un’idea personale. Voci infantili
invocano la madre, voci rabbiose chiedono a Dio giustizia. Forse
inconsciamente emergono gli spettri di un lontano bombardamento
in cui Enrico fu imprigionato tra le macerie. Rimane però una
speranza: “Muore la gente e rimanda la vita al domani”. |
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26 MARZO 2007 - LORENZO DAVIGHI |
Abbiamo
visto . . . |
L'UOMO VIVO |
Ironia e
sarcasmo sembrano l’interpretazione di Lorenzo di ANGELI E
DEMONI del Carnevale di S. Felice s. P., edizione 2006. “..torna
questa mia vita disadorna...” “... trovo molto interessante la
mia parte rivoltante...”. Frasi rubate da testi musicali
incalzanti. Molte parole sfuggono, complice l’acustica
discutibile della sala, ma si coglie un ritmo dissacrante, tra
suono di tromba e risate. Ottima fotografia, con tagli originali
e incroci cromatici accattivanti, specie nel finale. |
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LE CAREZZE |
Immagini
di un amore tutto al femminile si accostano alla canzone di
Gianna Nannini. Le fotografie sono composte con grande rigore
estetico ma, proprio per questo, risultano talvolta “recitate” e
poco emozionali, complice una scarsa morbidezza delle luci. Un
tema attuale e impegnativo, trattato con eleganza. |
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Affidare
il nostro lavoro a testi musicali poco noti è un procedimento “a
rischio”. Oltre alla acustica della sala, non sempre favorevole,
richiede una forte attenzione dello spettatore alle frasi della
canzone che, qualora siano ermetiche o allusive, spesso non sono
comprese ad un primo ascolto. Ne deriva uno sforzo nel cercare
la corrispondenza tra immagini e testo che distrae, a scapito
della fotografia e del messaggio. |
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16 APRILE 2007 - LA LANTERNA DI
MOCABALU' |
CARLO MOSCARDI - MAURO CARLI - CRISTINA BARTOLOZZI- SANDRA
LUMINI |
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Abbiamo
visto . . . |
I PESCATORI DEL GOLFO DEL
BENGALA |
CALCUTTA, SPECCHIO DELL'INDIA |
“Se
perisce il villaggio, perisce anche l’India” scriveva
Gandhi, ma forse sbagliava. Da una parte un villaggio di poveri
pescatori, ove i momenti della giornata sembrano ritmati da
gesti secolari, dall’altra una metropoli indistinta e caotica,
ove la strada si confonde con la fogna, il lavoratore con il
diseredato, la fanciulla con la prostituta.
Le
immagini degli amici di Firenze sottolineano il punto di
raccordo tra luoghi così diversi: dignità e serenità traspaiono
dagli sguardi, emergono dai gesti, rappresentando la forza e la
vitalità di questo grande Paese.
Una
fotografia descrittiva, indenne da elementi di disturbo ma con
scarse concessioni alla originalità compositiva (belle geometrie
nel villaggio) e all’approfondimento dei dettagli. Prevale
l’intento di documentare e il coinvolgimento emotivo viene solo
accennato dal breve riferimento alle Sorelle di Madre Teresa, in
preghiera per questa umanità di diseredati.
Un vivace
dibattito ha acceso la serata e, nonostante qualche
intemperanza, sono emerse idee e suggerimenti, utili per gli
autori ma soprattutto per il pubblico. Indubbiamente il GAD è
difficile da digerire, ma l’analisi approfondita e sincera che è
in grado di realizzare può essere elemento di crescita e di
maturazione. |
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28 MAGGIO 2007 - GIGI MONTALI |
Abbiamo
visto . . . |
LA VITA IN UN GIORNO, UN
GIORNO, UNA VITA...
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Un’idea
originale e un amaro messaggio costituiscono le chiavi di volta
attorno alle quali ruotano le immagini, scattate alla Festa dei
Madonnari a Le Grazie (MN). Gigi propone, attraverso una buona
fotografia, una sua personale riflessione sulla vita.
Dai
gessetti colorati, dalle mani sporche che si muovono abilmente,
nascono uomini, donne, fanciulli che sembrano animarsi di vita
propria. Appaiono sul selciato volti, sguardi di gioia, di
sofferenza. Ma anche su di loro, come è sorte per l’Uomo, giunge
inesorabile lo spettro della morte: il temporale spazza via le
creature, sbiadisce forme e colori, riportandole alla Terra e
ricordandoci il nostro destino di cenere.
Già si è
detto del brano di Grieg. Una migliore sfocatura nelle riprese a
medio campo avrebbe eliminato qualche elemento di disturbo.
Anche il titolo merita una riflessione: “La vita in un giorno”,
sintetizzando compiutamente il senso del lavoro, avrebbe evitato
ridondanze inutili. Dettagli marginali, abbondantemente
compensati dal significato profondo dell’opera. |
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UN ANNO DOPO |
Fortemente
drammatica la ricostruzione della strage nel metrò di Londra con
immagini shock, articoli e testi, assemblati con abile regia. Un
anno dopo, la vita sembra aver recuperato i suoi ritmi. Nei
grandi parchi londinesi, nella metropolitana, negli uffici,
nelle pause di lavoro, nelle strade affollate, un’ideale
giornata londinese sembra scorrere nella generale indifferenza.
In questa descrizione, peraltro indispensabile, il diaporama
tende ad appiattirsi, forse per l’inserimento di qualche
inquadratura di vago sapore turistico.
Alcune
sottolineature invitano alla riflessione. L’uso del bianco e
nero nella metropolitana (purtroppo incostante) attribuisce toni
inquietanti al luogo dell’attentato (splendidi tagli all’interno
dei vagoni). Nel finale, i volti colorati che emergono dalla
grigia folla che popola i marciapiedi e la scritta
“liberi di decidere” contengono il messaggio: una proposta di integrazione
nella città cosmopolita per eccellenza e, più in generale, il
superamento delle barriere etniche e culturali.
Qualche incoerenza stilistica in questa sequenza e un
parlato acusticamente poco comprensibile rischiano di vanificare
la forza del messaggio rendendolo non chiaro al primo impatto.
Un
lavoro originale, supportato da buon ritmo e ottima
fotografia. |
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11 GIUGNO 2007 - GAETANO POCETTI |
Abbiamo
visto . . . |
SOLI |
Una
tranquilla coppia di anziani vive serenamente la terza età. Una
coppia unita. Gesti di affetto, la mano sulla spalla. Poi il
precario equilibrio della mente si spezza. Una siringa, uno
sguardo. Pochi e inequivocabili simboli fanno presagire
l’inevitabile declino cognitivo che porta alla struttura
protetta.
Con discrezione ed eleganti tagli, la macchina
fotografica esplora le sale attrezzate di una struttura di
assistenza, moderna e ben organizzata, cogliendo espressioni,
smorfie, sorrisi e gesti semplici di solidarietà.
Il testo musicale di Renato Zero sottolinea le
immagini, anche se talvolta il tentativo di comprensione dei
significati o la ricerca degli accostamenti disturbano la
percezione della fotografia. Le forti inquadrature scavano nel
nostro intimo, evocando sentimenti, riflessioni e, per qualcuno,
amari ricordi personali. |
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IL PARADISO NASCOSTO |
La
profonda spiritualità del popolo birmano è l’elemento conduttore
del lavoro di Gaetano. Suggestivi controluce dei templi di Pagan
sottolineano le antiche radici religiose di questo popolo.
Ritroviamo poi scene del quotidiano, nei campi, nei villaggi e
tra le palafitte del lago Inle, con inquadrature descrittive e
talvolta scontate. I brevi testi, non in sintonia con le
immagini, vanno accettati come personali riflessioni
dell’autore.
Il
commento sonoro, adeguato e perfettamente ritmato con le
immagini, ed una dissolvenza creativa rendono gradevole questo
passaggio che riporta al vero contenuto del lavoro.
Un canto
lento, solenne, di grande contenuto evocativo, ci accompagna al
cuore del
paradiso, nascosto
negli angoli delle case, nella penombra dei templi, tra i
consunti libri di meditazione. Le fioche luci delle candele
illuminano scarni profili di vecchi bonzi. Tra le volute di
incenso appaiono gli sguardi intensi dei fanciulli, le mani
congiunte nella preghiera, gli occhi ieratici delle statue
dorate. Le sequenze, giocate prevalentemente in interni, fanno
cogliere e ci trasmettono un forte messaggio di spiritualità.
Una
splendida lezione di fotografia e di regia in un momento in cui,
nell’audiovisivo, grazie (sic!) al digitale, sembrano prendere
il sopravvento lavori privi di contenuto, realizzati con
immagini di discutibile qualità, traghettati da montaggi adatti
solo a stupire.
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8 OTTOBRE 2007 - WALTER TURCATO |
Abbiamo
visto . . . |
GOD OF THUNDER |
Spinto dalla
curiosità e dal desiderio di provare, salii anch’io sulle stesse
pendici calde e aride, verso le bocche coniche, avvicinando
paesaggi sempre più lunari. L’emozione è rimasta ancora viva in
me: un’angoscia che proviene dalla terra, dal vento, dal sordo
rumore
della montagna
che dorme ma che potrebbe
improvvisamente risvegliarsi e mostrare
tutta la sua forza vitale.
Walter ha
voluto trasmettere queste sensazioni congiungendo sonoro,
fotografia ed effetti grafici. Il ritmo martellante di Kitaro
domina il lavoro e, nella parte centrale, scandisce splendide
immagini capaci di indurre forte emozione. Un abile fotoritocco
crea improvvisi bagliori, flash ritmati perfettamente sulle
note, che rafforzano la fotografia, sottolineando la tensione
creata col sonoro. Il preludio, al contrario, non asseconda
questo ritmo, dilungandosi in aspetti descrittivi ovvi e di
qualità inferiore. Come pure un eccessivo impiego della tecnica
digitale appesantisce il finale rendendolo scontato e
artificioso. |
LE NUVOLE |
Temi dolci e poetici: i papaveri, le nuvole. Temi
ben lontani dalla frenesia e dalla aggressività del nostro
quotidiano. La colonna sonora, ben dosata, introduce con
delicatezza macrofotografie di notevole qualità, giocate sulle
tonalità cromatiche e sul controluce.
Utilizzando abilmente effetti grafici e sonori
ricostruisce una atmosfera agreste dal sapore di fiaba. Una
fiaba raccontata dalla voce roca della nonna a fanciulli che
compaiono in tenue sovrimpressione. E’ la favola delle nuvole,
ombre cupe che sorvolano e che si distendono sui campi di
papaveri assumendo la forma dell’airone o della pecora o
minacciose e scure come il corvo. E, come nelle favole, non le
vediamo, le possiamo solo immaginare.
Walter, in punta di piedi, con eleganza e grande
sensibilità, è riuscito a condurre ai ricordi dell’infanzia
coloro che riescono ancora ad intenerirsi. |
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29 OTTOBRE 2007 - STEFANO ANZOLA |
Abbiamo
visto . . . |
UN SALTO PER FASUM (ETIOPIA) |
Ai confini
del mondo esistono popolazioni primitive, isolate dalla miseria,
dall’ignoranza e dalla guerriglia. Stefano ha raggiunto questi
confini e ci propone rituali e tradizioni tribali. Dai mercati
alle danze, dall’autofustigazione al “salto del toro”. La
sequenze scorrono impeccabili e l’obiettivo si sofferma sui
volti, cogliendo intense espressioni. Corre ai dettagli
dell’abbigliamento, ai tatuaggi, alle acconciature. Una
inevitabile ripetitività appesantisce il fluire delle pur belle
fotografie.
La colonna
sonora diviene via via più intensa, unendo alla musica e ai cori
anche i rumori, i suoni e le voci dell’ambiente, conferendo così
una intensa emozionalità alle immagini. Il lavoro suscita una
forte curiosità etnologica ma la dinamica delle complesse
cerimonie risulta poco comprensibile e le aspettative di
reportage, definite dal titolo, vengono in parte deluse. Un
commento colto e discreto avrebbe sicuramente valorizzato
l’audiovisivo. |
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19 NOVEMBRE 2007 - GUIDO FORINO |
Abbiamo
visto . . . |
PERU' ... DOVE LA STORIA VIVE |
Camminando
sui sentieri e tra le pietre di una antica civiltà,
inevitabilmente il pensiero corre al passato. Le prime sequenze
di immagini, accompagnate da un commento parlato, propongono, in
una sintesi ben costruita e suggestiva, il genocidio del popolo
Inca ad opera del conquistatore Francisco Pizarro.
La
musica andina accompagna lo spettatore nelle le valli sorvolate
dal condor, tra le canne delle isole galleggianti, fino agli
alti dirupi di Machu Picchu, tra peones, anziani e donne al
lavoro. La fotografia è descrittiva e tradizionale, più creativa
in alcune sequenze, con composizioni geometriche sulle saline.
La colonna sonora, talora scontata, crea una atmosfera
suggestiva tra i sassi della “città perduta”. Si incastra bene
con il commento parlato, essenziale e ben comprensibile, ma
talvolta di tono un po’ impersonale. |
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UNA PROFEZIA SCOLPITA NELLA
PIETRA |
Anche
questo lavoro prende spunto da un inquadramento storico, gli
eccidi perpetrati in Cambogia dal regime di Pol Pot alla fine
degli anni settanta. Forse per la crudezza del testo o perchè
i tragici avvenimenti appartengono alla nostra storia recente,
il coinvolgimento emotivo risulta forte. La regia è coerente
con lo stile dell’autore: una fotografia semplice, ben ritmata
su una colonna sonora centrata.
L’originalità dell’opera scaturisce dalle immagini dei
bassorilievi scolpiti nei frontoni dei templi Khmer: le
fanciulle danzanti richiamano lo spettacolo di balli nei
costumi tradizionali (peccato l’impiego del flash), ma ancora
di più le battaglie e i massacri, raffigurati mille anni fa,
sembrano costituire una profezia. Una metafora che ci impone
una riflessione sull’Uomo, sempre uguale a se stesso, pur nel
cambiamento delle situazioni e dei comportamenti storici. La “Historia
se repetit” di Gianbattista Vico.
In
entrambi i lavori emerge la capacità di Guido di creare una
valida documentazione fotografica sulla base di una ricerca
storica e attraverso una personale interpretazione degli
avvenimenti del passato. |
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17 DICEMBRE 2007 - GIANNI ROSSI |
a cura di Ivan Fini e
Arnaldo Davì |
Abbiamo
visto . . . |
IL CIRCO, IMMAGINI DEL
PRESENTE, RICORDI DEL PASSATO |
Come si evince dal titolo
l’audiovisivo era diviso in due parti ben distinte. La prima
viveva sulla rievocazione rappresentata a San Felice al magico
carnevale, che nel 2007 aveva per tema appunto il circo, l’altra
sulla reale vita in un piccolo circo di paese. Il piccolo circo
di paese è reale è qualcosa che induce al ricordo, alla
curiosità del bambino, insomma ti riporta ad avere qui ricordi
che possono essere indistinti ma anche chiari, reali e quasi
presenti. La prima parte è basata su primi piani di personaggi
magistralmente truccati e guidati da una regia di valore tanto
che forse non riescono a dare giustizia al titolo perché (forse
anche a causa della artificiosa sfocatura) inducono anche loro
una certa nostalgia del passato più che una percezione del
presente.
Tecnicamente che dire. La sfocatura poteva essere
tridimensionale rendendo la foto più realistica. Questo sarebbe
stato un lavoraccio con un impegno di risorse inumano, inoltre
una manipolazione così palese ha rafforzato l’importanza del
ritratto. Le musiche le ritengo appropriate alle immagini con un
appunto sul ritmo nel secondo brano del “circo vero” dove a mio
avviso la musica è troppo lenta rispetto la dinamicità delle
immagini. |
HAPPY DAYS |
La
felicità non è opulenza e questo viene messo in evidenza dal
raffronto fra il “mondo occidentale” che spesso legge le
festività come momento per mostrare la sua grandezza attraverso
luci e acquisti e il “ …. Mondo” costretto a combattere contro
le difficoltà della vita anche nei giorni di festa e malgrado
ciò riesce spesso a donarci un sorriso vero.
Il
messaggio vero di questo lavoro è la sequenza finale di immagini
che è forte e piena di significato perché vediamo la foto di una
famiglia con al centro una culla povera costruita con quattro
legni incrociati poi subito dopo c’è un bimbo che dorme nella
culla e con una zoomata finale il bimbo diventa Gesù Bambino e
non è sicuramente un caso che quella sia la culla che ha scelto
per nascere. Crediamo che Gianni Rossi ci abbia voluto dire che,
comunque sia, il vero simbolo del Natale è Gesù Bambino.
Questo il filo percepito dall’audiovisivo e propinatoci
attraverso il paragone di immagini differenti, esasperato dal
contrasto colore/bianco e nero. A tal proposito vedo alcune
immagini delle vetrine con poco cromatismo, non proprio
azzeccate in quanto affievoliscono leggermente il contrasto. La
musica è rappresentata dal brano che ne evoca il titolo. Anche
in questo lavoro si potrebbe ricercare un maggior dinamismo
nelle immagini cambiandone il ritmo in alcuni frangenti.
I
paragoni sono spesso difficili e a volte irriverenti ma voglio
ugualmente dire che, a livello di messaggio, Happy Days ha
lasciato maggiormente il segno e Il Circo ha lasciato il sogno. |
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21 GENNAIO 2008 - ERMANNO FORONI |
Abbiamo
visto . . .
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LE SCARPETTE BIANCHE (SIERRA
LEONE) |
Un canto
lento, di misurata tristezza, accompagna lo spettatore nei
vicoli infangati, tra muri sbrecciati e baracche fatiscenti,
rese ancora più drammatiche da un bianco e nero cupo e
contrastato. Dagli usci, aperti su stanze umili e disadorne,
si affacciano occhi sfuggenti e rassegnati, occhi che guardano
ma non vedono e forse non vogliono più vedere. Le tracce della
guerra civile emergono evidenti dalle foto di Ermanno che
propone inquadrature e ottimi tagli, capaci di sottolineare e
denunciare il dramma e la sofferenza di un intero popolo.
Non
mancano momenti di forte emotività. Attimi di tenerezza tra le
corsie dell’ospedale o una improbabile partita a football con
le stampelle, mentre gli arti artificiali assistono
indifferenti, allineati a bordo campo. Il catalogo dei monchi,
fotografati contro un muro: una lunga e pesante sequenza di
uomini e donne mutilati dal machete di chi voleva bloccare le
“libere” elezioni.
Le immagini
si succedono non solo seguendo una logica descrittiva ma
riescono a farci comprendere i meccanismi perversi che hanno
fatto scaturire l’odio e la violenza: i cercatori di diamanti
che setacciano la fanghiglia del fiume, la bilancia che pesa i
preziosi, le urne elettorali.
Di
fronte a questa denuncia sociale, violenta e spietata, che
angoscia e commuove, elaborare un commento tecnico risulta
fastidioso e inadeguato. Occorrerebbe segnalare gli errori di
sviluppo del BN, con immagini talvolta sbiadite e talvolta
eccessivamente contrastate, la mancanza di ritmi dinamici
nella successione delle dissolvenze, una certa ripetitività di
alcune immagini d’insieme, ma è evidente che i contenuti
soverchiano pesantemente questi aspetti formali. Del resto
Ermanno presenta il suo lavoro come “Immagini
in bianco e nero sonorizzate”.
E le
“Scarpette Bianche”? Le scarpette bianche siamo noi, il nostro
mondo occidentale, moderno, evoluto, luccicante. Un mondo
forse intravisto da quegli occhi spaventati in qualche
televisore con antenna satellitare. Un mondo dove tutto è
elegante, di classe, dove senza un Martini non si può
partecipare al party. Fatto di donne bellissime, profumate e
ingioiellate. Un mondo per il quale può valere anche la pena
rischiare la vita, attraversando in gommone il Mediterraneo,
nella penosa illusione di trovare un paio di “Scarpette
Bianche”. |
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11 FEBBRAIO 2008 -
ANDREA PIVARI |
Abbiamo
visto . . .
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PRECIOS WATER e CRITTERS
(CREATURE) |
Il GAD
si immerge nel mondo sottomarino, accompagnato da un esperto
di fotografia subacquea che ha ottenuto, con i suoi
audiovisivi fotografici, numerosi riconoscimenti nazionali e
internazionali.
Rappresentare ambienti naturalistici, nei quali i soggetti
principali sono fauna e flora, può costituire un rischio. E’
facile cadere nel banale, proponendo un freddo elenco di
“meraviglie” naturali, ben fotografate ma di significato più
strettamente enciclopedico. Andrea ha invece presentato due “serie
sonorizzate”, un tipo di audiovisivo fotografico privo di
uno specifico messaggio ma caratterizzato da una scelta
fotografica, musicale e da una regia finalizzate a
descrivere e a trasmettere emozioni.
I
paesaggi di “PRECIOUS WATER”, tra rocce misteriose, luci
filtranti dalle mille sfumature, ci fanno dimenticare di
essere tra le sorgenti calde della Florida e ci conducono ai
colori pastello dei libri di fiaba. E sfogliando queste pagine
ecco comparire i misteriosi “lamantini dagli occhi di fata”
del poeta Senghor. La colonna sonora, non particolarmente
ricercata, costituisce un tappeto musicale che contribuisce a
valorizzare le bellissime immagini.
“CRITTERS” è un audiovisivo evidentemente più recente e
maturo, che ci propone immagini che seguono temi specifici: il
corteggiamento amoroso, l’incantatore di serpente o la buffa
serie di pesci dall’aspetto grottesco. La colonna sonora
asseconda e conferisce ironia a queste sequenze che sembrano
attribuire sentimenti domestici agli abitanti del mondo
sottomarino. Un’idea originale realizzata con un montaggio
sofisticato (qualche dissolvenza in nero di troppo) che dà
prevalenza al ritmo e alla regia. |
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3 MARZO 2008 - STEFANO NEGRI |
Abbiamo
visto . . .
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ASPETTANDO IL NIRVANA |
Strano a
dirsi, ma la rete ferroviaria indiana, tracciata durante la
dominazione inglese, ha fama di essere tra le più efficienti
del mondo. Gli indiani amano il treno, amano la stazione che
per molti diventa una prima casa. E proprio da una di
queste stazioni che parte il lavoro fotografico di Stefano.
Compresso dalla massa di persone, è alla ricerca di dettagli
che riescono a evocare la confusione e il movimento. Gambe,
piedi, mossi da un sonoro ritmato sul ritmo del treno, tra
bellissimi controluce e suggestivi tagli fotografici.
Uomini e donne che il treno
porta a diverse destinazioni o destini diversi.
Il mercato con le sue bancherelle di mele ordinate e lucide,
forse le uniche cose ordinate e lucide che si trovano in
India. La preghiera e le abluzioni nel Gange, sottolineate da
un brano musicale lento e intenso. Le auto e il traffico. Le
carrozzelle e i loro magri portatori. Ovunque miseria e
sporcizia. Il bianco e nero, purtroppo in parte penalizzato da
un pessimo sviluppo (eliminare
le immagini più critiche avrebbe giovato all’audiovisivo), conferisce drammaticità alle
inquadrature. Tanti quadri di vita quotidiana (a
volte non perfettamente definiti,
con qualche ripetizione) dai quali traspare una
indifferenza rassegnata.
Nell’induismo,
diversamente dal Buddismo, il Nirvana
è “l’assenza di vento che impedisce l’attizzarsi della
fiamma del desiderio”. E’ l’atarassia (assenza di
turbamento) della filosofia stoico ellenista di epicurea
memoria.
L’indifferenza
rassegnata che si coglie negli sguardi e nei gesti dei
personaggi fotografati da Stefano ben rappresenta lo spirito,
incomprensibile per noi occidentali, di un popolo che sa
accettare con fatalismo una amaro presente. |
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31 MARZO 2008 - CLAUDIO TUTI |
Abbiamo
visto . . .
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SPAVENTAPASSERI |
Un
avvenimento banale, verosimilmente una rappresentazione
cittadina che ha come protagonista questa presenza solitaria e
romantica delle nostre campagne, si trasforma in forte
elemento di riflessione.
I
manichini colorati, in sfilata come soldati di piombo,
assumono forme e atteggiamenti sempre più umani, <fidanzati
sulla panchina>. Complice il testo parlato che sembra
alitare su di loro un soffio di vita. Ma ereditare il gravame
dell’animo umano, con il suo carico di odio, di invidia, di
superbia diventa, per i compagni delle nostre fantasie
infantili, causa di distruzione.
Le mani
attanagliano la terra e ai fulmini, alla pioggia nucleare e al
vento che strappa le vesti, fino a mettere a nudo la croce di
Cristo, segue la morte. Ed eccoli a terra, scomposti, dietro
il filo spinato, in un’alternanza tra colore e bianco e nero,
consumati dalle fiamme, fino a quando, lentamente, le rosse
nubi dell’alba si illuminano della luce accecante del sole,
riportando la speranza.
Un’idea
originale, realizzata con una regia efficace. Claudio modella
e compone abilmente il fotogramma utilizzando immagini di per
sé non particolarmente coinvolgenti, ma creando, come in una
sala di posa, scenografie finalizzate ad una simbologia
delicata e profonda. |
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1976 ... |
Ero al
cinema quella sera quando la terra tremò a Gemona. Un fremito
percorse la sala nonostante i 300 km in linea d’aria. Un
fremito di angoscia percorse i nostri animi nel vedere i
notiziari dei telegiornali. Lo stesso fremito ricompare dopo
tanti anni, evocato dal montaggio magistrale di Claudio.
Immagini di un borgo sereno, sconvolto dalle
oscillazioni di un lampadario. Il buio, la luce, il messaggio:
perchè a me, Signore? Ovunque distruzione e morte.
Si scava
tra le macerie. Forse respira ancora. File di bare. Ero
tra i volontari a San Mango sul Calore, in Irpinia. 1980. Ho
provato solo le scosse di assestamento ma ne ho avuto
abbastanza.
La
tendopoli. E la vita sembra riprendere nei movimenti di un
girotondo. Poi nuove scosse e ancora il terrore, fino alla
fuga verso il mare. Pennellate di volti, sguardi rassegnati.
Foto scattate da Claudio e foto di repertorio, assecondate da
un sonoro avvolgente, scelte e montate per raccontare, ma
soprattutto per trasmetterci le sue emozioni.
Tra le
impalcature e i ponteggi, grazie al sudore di un popolo che
non si piega, rinascono i muri e i portici e, tra i fiori,
ritorna il colore nella città ricostruita. I tetti di Gemona
splendono alla luce argentata della luna. |
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21 APRILE 2008 - DAVIDE NIGLIA |
Abbiamo
visto . . .
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...
QUESTO DOVREBBE ESSERE UN
FUNERALE ? |
I
figuranti di un circo decadente e onirico come quello di San
Felice sul Panaro, nella fantasia di Davide Niglia, diventano
i protagonisti di un tetro funerale. La musica solenne e i
rintocchi delle campane si intonano perfettamente ai volti
pallidi e cianotici delle comparse. Ma i pagliacci e i
giocolieri non possono sfuggire alla loro vocazione e, al
suono di una tarantella, trasformano il funerale in uno
spettacolo gioioso, tra botti e fuochi d’artificio.
Un
lavoro di forte impatto, che coinvolge per un abile ritocco
fotografico, giocato sugli sfocati e sul viraggio dei colori,
e per un’ottima regia. Il testo iniziale risulta non del tutto
in tono con l’idea di fondo, rendendo il messaggio di
comprensione non immediata. |
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QUANDO FU IL GIORNO DELLA
CALABRIA ... |
Una
antica leggenda, richiamata da Leonida Repaci, costituisce il
tema conduttore della ricerca geografica di Davide sulla
Calabria. Ottima l’idea che sottrae alle immagini, non sempre
di alto livello, il loro sapore documentaristico e le piega ad
un copione letterario: Calabria, un paradiso terrestre
ottenuto da un pugno d’argilla e offerto da Dio all’Uomo.
Paesaggi, rocce, riviere si alternano a interni di chiese e
affreschi bizantini. Ma ecco: un brusco passaggio al bianco e
nero, affiancato da sonorità drammatiche ben congeniate,
sottolinea l’intervento distruttivo del maligno. Muri
screpolati, tetti divelti, villaggi abbandonati.
Metafora
sociale in una regione nella quale ancora serpeggia la
criminalità organizzata. Ma un Dio di giustizia proietta la
Calabria verso una luce di speranza. |
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13 OTTOBRE 2008 - RAL '81: BENCIVENNI,
FONTANA, ROGER |
Abbiamo
visto . . .
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DASTIN |
Una
serata con gli amici di S. Giovanni in Persiceto, Alessandro,
Loris e Roger, è sempre molto piacevole. Ancora una volta
audiovisivi di qualità che hanno stimolato commenti ed analisi
profonde e hanno suscitato un giudizio complessivamente molto
favorevole. |
Dei loro lavori colpisce l’idea,
che nasce talvolta da bizzarre fantasie, come nel caso di
DASTIN, una visitazione del carnevale di S. Felice, giocata
sulla somiglianza tra un simpatico figurante nel giorno delle
nozze e nientemeno che l’attore Dustin Hoffman. |
Il nostro italianizzato
DASTIN diventa, per un giorno, un divo Hollywoodiano. Assieme
ai suoi sogni, vola la fantasia degli spettatori tra belle
fotografie, citazioni cinematografiche e colonne sonore a tema
ben azzeccate. Per un momento, la torre del castello di S.
Felice, si slancia nel cielo del tramonto come un grattacielo
della Grande Mela. |
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LIBERA USCITA |
Il toro
di Siviglia, fuggito dall’Arena, si aggira per le campagne
assaporando finalmente la libertà. Colline, alberi, case,
villaggi. Si illude di essersi scrollato di dosso la sua
condanna, ma il torero lo attende dietro l’angolo,
riportandolo alla triste sorte di toro matato. |
Ricco di riferimenti e
simbologie, una metafora dell’Uomo che tenta di sfuggire al
suo destino, ma viene inesorabilmente riportato alla dura
realtà di vinto. L’eterna lotta di don Chisciotte contro i
mulini a vento. |
Un lavoro
importante quindi, con un forte messaggio, non sempre
supportato, a mio personale giudizio, da immagini di qualità.
Discutibili, dal lato estetico, alcune ricostruzioni ambientali
nel villaggio abbandonato e lo stesso toro peregrinante conserva
una fisionomia da muppet, inadeguata alla drammaticità
del ruolo che svolge. |
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24 NOVEMBRE 2008 - ANTONIO
MANGIAROTTI |
Abbiamo
visto . . .
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TOCCATA |
Gli
audiovisivi fotografici di Antonio Mangiarotti nascono dalla
colonna sonora che diventa elemento di ispirazione di nuove
idee e nuova creatività. Questa volta l’opera scelta, la
Toccata
e fuga in Re minore
di J. S. Bach, costituisce una vera sfida
fotografica, da una lato per la notorietà del movimento e
dall’altra per il suo ritmo. Inevitabile il ricorso ad una
tecnica di gestione delle immagini molto sofisticata, nella
quale Antonio è maestro. |
I pioppi
della Lomellina, in una successione di mossi, sfocati e
sfumature di colore, accolgono e assecondano le note del
Compositore, come gigantesche canne d’organo. |
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LOMELLINA |
Le
mondine al lavoro nella Lomellina, riviste in un morbido
bianco e nero di foto d’epoca, contrastano con le cascine
abbandonate e diroccate di queste valli, ove il lavoro manuale
è stato sostituito dalla tecnologia. La colonna sonora scelta,
che impone ritmi serrati, e alcune soluzioni tecniche
conseguenti, come l’impiego del cut, non appaiono adeguate ad
un tema nostalgico che vuole richiamare i ricordi della
giovinezza. |
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15 DICEMBRE 2008 - ANDREA
COLLEONI |
Abbiamo
visto . . .
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X-MAS FAILURE |
E’ arrivato il Natale anche per
lui, per l’omone meccanico, l’uomo robot del terzo millennio,
che, con i suoi movimenti a scatti, deve allestire l’albero nel
soggiorno di casa. Gli ingredienti sono pronti: l’abete
artificiale, le palle colorate, i festoni dorati e un po’ di
magia per assemblare il tutto. Anche il cane meccanico, a
scatti, fa capolino per dare una mano, e i regali arrivano
sospinti da un calcio. Una catena di montaggio, scandita dalle
note di “A White Christmas” in versione tecnologica. |
1 minuto e 40 secondi sono fin
troppi per fare l’albero di Natale: è ora di spegnere le luci
e di sedersi finalmente davanti a “madre televisione” che ha
assistito, imperturbabile, al noioso, ma pur sempre
necessario, rituale natalizio. |
Un Natale
svuotato di sentimenti e di amore è dietro l’angolo. Passa
attraverso le vetrine dell’opulenza, si serve della carta di
credito, entra furtivamente nelle nostre case sulla cresta
delle onde elettromagnetiche del digitale terrestre. Prende a
prestito i significati profondi del nostro Credo e della
Tradizione e li trasforma in simbologia commerciale. |
L’omone
meccanico sorride e ci strizza l’occhio: aspetta che anche
noi, come lui, cadiamo nella trappola. |
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CANENERO |
Apre le fauci, il canenero,
e le fauci si trasformano in un urlo straziante. Appaiono i
simboli di una infanzia spezzata dalla violenza, in una
atmosfera livida, virata dall’alto contrasto e dalle dominanti
di colore. La sequenza martellante delle immagini, al ritmo
frenetico della colonna sonora, ci ripete fino
all’esasperazione che le porte sono sbarrate, che non ci sono
vie di fuga, che non si può scappare dal tunnel della memoria,
dall’incubo del dramma subito. |
La continua e velocissima
variazione del punto fotografico di ripresa, ben lontana dalla
logica cinematografica e quindi da brutte simulazioni del
movimento, risulta estremamente efficace e appare
perfettamente finalizzata al messaggio. |
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16 FEBBRAIO 2009 - GIORGIO ALLOGGIO |
Abbiamo
visto . . .
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IL ROSSO |
Un gioco estetico tra musica e colore. Le fotografie
“still life” di contenuto frivolo e spesso ironico,
raggruppate per tematiche specifiche, dagli improbabili
accessori d’abbigliamento ai dettagli del mondo
automobilistico, sono accomunate dal colore della passione, il
rosso, in una successione a ritmo sempre più incalzante, fino
ad una totale fantasmagoria di linee colorate e luminose.
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Il bicchiere di vino rosso sembra preludere alla
ubriacatura di immagini che caratterizzano il finale
travolgente. Una fotografia di alto livello tecnico. Un
montaggio discutibile, specie nella prima parte, per la
presenza di evidenti difetti di sincronismo, probabilmente
condizionati dal software utilizzato. |
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16 FEBBRAIO 2009 -
FIORANI SAURO |
Abbiamo
visto . . .
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NEL VENTRE DEL MOSTRO |
Il mostro compare all’alba, tra detriti e filo
spinato, vecchio e macilento, le pareti sventrate e corroso
dalla ruggine. Con timore e prudenza, guidati dalla attenta
ricerca estetica di Sauro, percorriamo i corridoi e scendiamo
le scalette del suo ventre. |
Le travi allineate, in una grafica rigorosa, sono le
costole di un torace provato. Colpi di luce, di forte
suggestione, entrano dalle sue branchie. Ansima il mostro
morente mentre esploriamo i suoi meandri. Ecco i detriti mal
digeriti dei suoi pasti, ecco gli indumenti stesi e gli
oggetti di Mastro Geppetto nei visceri della balena. |
Giusta e
doverosa la denuncia anche se talvolta il desiderio di
informare e di accusare, richiamandoci alla realtà, guasta la
poesia di un dolce ritorno alle fantasie della nostra
infanzia. |
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