HOME PAGE

ARTICOLI SULL'AUDIOVISIVO FOTOGRAFICO

Back

 

RITORNIAMO IN “CAMERA OSCURA”

 

Scarica l'articolo in formato PDF


Ormai, in ogni rassegna che si rispetti, non possono mancare autori che proiettano in DIGITALE. La nuova tecnica sembra entrata di prepotenza. Tutti ne parlano male e si stracciano le vesti solo a sentir pronunciare questa parola (peraltro rubata alla farmacologia clinica – un noto medicamento estratto dalla bellissima digitalis purpurea) ma al carnevale di S. Felice sul Panaro ho incontrato vecchi amici pluridecorati FIAF armati anche loro di una nuova reflex ultratecnologica. Girovagando come spettatore in vari circoli e partecipando anche alla intensa giornata della Coppa DIAF di Cesenatico ho avuto modo di assistere a splendidi diaporami, ricchi di idee e di contenuti. Devo confessare però che in tutti i casi il mio subdolo intento era anche quello di valutare i lavori digitali dal punto di vista tecnico.

La nuova metodica permette, a mio parere, di realizzare opere altamente espressive né più e né meno che in analogico: le immagini scorrono agevolmente, con dissolvenze fluide, la colonna sonora si sincronizza perfettamente, con una precisione da parata militare (se penso alle ore perse con la mia vecchia centralina di dissolvenza, alla ricerca di una battuta musicale!!!). A conferma, vedo che molti autori ripropongono in digitale i loro lavori analogici, senza che si notino differenze. Ma è vero?

Nella mia analisi noiosa e petulante l’occhio mi è caduto sui colori e in taluni casi ho ricevuto una mazzata: ho visto cieli verdini ed erba virata al viola, ho visto volti arancioni e oceani giallastri. Talune immagini erano talmente contrastate da sembrare la 3° o la 4° duplicazione di una DIA. Da buon sostenitore del digitale ho sofferto molto.

Voi direte: colpa del videoproiettore, di scarsa qualità, mal tarato, LCD e non DLP, con poco contrasto eccetera eccetera. Non ci credo: a Cesenatico di fianco a lavori con colori adeguati e naturali si sono visti lavori con colori quantomeno improbabili. Stesso videoproiettore !!  Potreste obiettare: l’autore ha volutamente distorto i colori per sottolineare meglio i significati, ha forzato l’immagine per dare enfasi ai contenuti del suo lavoro, un po’ come un “pieno” musicale. Questo può valere per diaporami che vivono di questa complessità verso la quale l’autore piega ogni mezzo tecnico, dalla musica, al soggetto, al colore, non vale certo per opere di significato descrittivo, ambientale, ricche di personaggi e di realismo. Cosa sta succedendo?

La risposta è semplice: siamo stati troppo ”coccolati” dalla diapositiva. Dopo aver lavorato per anni in camera oscura, alle prese con acidi, termometri, mascherature, fissaggi, è arrivata lei, perfetta, nitida, trasparente, morbida e ci ha incantato. Con la diapositiva tutto è diventato facile: un proiettore, uno schermo, alcuni amici e lei subito pronta, disponibile appena estratta dalla confezione ritirata poche ore prima dal fotografo. Sono nati i primi diaporami e le serate sono diventate più piacevoli, i circoli si sono riempiti: sono arrivate anche le mogli, gli amici, gli ospiti, l’assessore.

La diapositiva non viene ritoccata o elaborata: o è bella o è brutta. Se è brutta basta un dito nel telaietto e sotto un’altra. I colori della diapositiva nascono nella macchina fotografica, nella capacità professionale, nel cervello del fotografo che la può volere sovraesposta o sottoesposta, sfocata, contrastata, flou. E’ un prodotto finito che viene elaborato nelle poche frazioni di secondo che precedono lo scatto. La diapositiva non perdona. E’ stata la nostra palestra, ci ha insegnato a fotografare.

Ma col digitale la musica è cambiata. Non è pensabile che basti la scansione di una diapositiva con il nuovo costosissimo scanner dedicato per ottenere una immagine bell’e pronta per il nostro diaporama. Non è sufficiente trasferire le foto dalla nostra fotocamera direttamente alla proiezione che stiamo allestendo. Occorre tornare in camera oscura, una nuova camera oscura senza tank o sgradevole odore di acidi, più asettica ma ugualmente esigente. Una camera oscura che richiede ore e ore di applicazione, come ai tempi del bianco e nero.

A questo punto vorrei passare dalle fase delle generiche riflessioni a considerazioni più strettamente operative, limitandomi ad alcuni consigli generali, senza entrare in merito alle tecniche di fotoritocco utili per il diaporama. Questo si potrà fare in un’altra occasione. ccorre distinguere tra immagini che provengono da scanner e immagini che provengono da fotocamera digitale.

IMMAGINI SCANSIONATE:

Qualità della diapositiva: Utilizzando diapositive di alta qualità tecnica, ben esposte e ben bilanciate annulliamo o quantomeno riduciamo al massimo la necessità di fotoritocco. La fotografia è come la donna: una donna molto bella non ha bisogno di truccarsi; al contrario certi trucchi esasperati, fatti per salvare l’insalvabile, finiscono per apparire come brutti mascheroni. Evitiamo pertanto di “recuperare” inquadrature con evidenti difetti di esposizione perché “tanto ci pensa il fotoritocco a correggere gli errori”. Meglio il buon vecchio dito nel telaietto.

Pulizia della dipositiva Togliamo la polvere dalla DIA con aria compressa e pennello morbido per evitare un noioso ritocco digitale. Gli scanner più sofisticati sono dotati di filtri che tramite un processo di interpolazione eliminano polvere e graffi. E’ preferibile stare alla larga da questa funzione che determina un significativo peggioramento della qualità della immagine e allunga notevolmente il tempo di scansione.

Qualità dello scanner:  Gli scanner “dedicati”, nati esclusivamente per diapositive e negativi, danno le migliori garanzie di qualità anche se naturalmente i costi sono molto elevati. L’alta risoluzione (almeno 4000 dpi) consente di ritagliare parti della diapositiva e di utilizzarle nel diaporama.

Modalità di scansione: Ogni scanner che si rispetti consente regolazioni dei livelli di colore e di luminosità. Oltre a questo, molti scanner propongono una regolazione automatica che apparentemente fa molto comodo. Attenzione !! Chi ha realizzato diaporami con diapositive sa quanto è importante scattare con la stessa pellicola. Il lavoro deve mantenere infatti una rigorosa coerenza di tonalità, di grana, di incisività dalla prima all’ultima immagine. Un occhio attento si accorgerebbe delle differenze. Regolare i colori con le curve di livello, scansione per scansione, porterà ad acquisire tante immagini una diversa dall’altra, come se avessimo lavorato con pellicole diverse. Questo può andar bene se il nostro scopo è la stampa, ma non se la scansione è finalizzata ad un diaporama. Molto meglio effettuare una prima scansione utilizzando una buona diapositiva, luminosa e ricca di colore, appartenente alla serie di immagini del diaporama. Su questa si potranno effettuare alcune minime regolazioni preliminari ritoccando il contrasto, attenuando eventuali dominanti (spesso presenti se la diapositiva è stata scattata molti anni fa), aumentando la luminosità. Una volta ottenuto un risultato soddisfacente si potranno annotare i parametri numerici utilizzati, che serviranno per tutte le successive scansioni relative allo stesso diaporama.

Alcuni scanner sono dotati di un accessorio opzionale estremamente pratico che permette fino a 50 scansioni in automatico. Le scansioni mantengono la taratura impostata sulla prima diapositiva per cui questo strumento si dimostra particolarmente utile per ottenere un risultato omogeneo su tutte le immagini che utilizzeremo. Oltre a questo, velocizza notevolmente il procedimento complessivo. Fanno eccezione le foto notturne e di interni in penombra che richiedono una cura molto particolare e vanno trattate singolarmente. Le basse luci sono un punto debole del digitale.

Ridimensionamento dell’immagine:  Le immagini che vengono importate nel programma di fotoritocco, per lo più Photoshop, sono molto voluminose per cui dovranno essere ridimensionate. Per i procedimenti di ridimensionamento si potrà far riferimento ad un mio precedente articolo. In ogni caso il metodo più pratico è dato dallo strumento “taglierina”. Se la foto lo merita, consiglio di portarla ad una dimensione tale che consenta una stampa 20x30 (centimetri) a 300 dpi. Espresso in pixel risulta 3543x2360. Ne risulta un file molto pesante, esattamente 23,9 megabyte ma se un giorno ci verrà voglia di stamparla non dovremo rifare tutto il procedimento. Foto meno belle possono essere ridotte ad un formato 14x21 (centimetri), corrispondente a 2480x1652 pixel, per un totale di 11,7 MB. Ora la foto dovrà essere pulita. Dopo averla adeguatamente zoomata, la esaminiamo attentamente sul monitor e utilizziamo lo strumento “ timbro ” e/o lo strumento ”toppa ” (presente da Photoshop 7 in poi) per togliere polvere e graffi. Salviamo tutte le foto in formato PSD o TIFF e trasferiamole su un supporto CD o, meglio ancora, su un DVD, molto più capiente. Otterremo così un archivio di “originali” da cui attingere per future stampe o per il diaporama che stiamo allestendo.

Fotoritocco:  Il fotoritocco finalizzato al diaporama digitale utilizza un numero abbastanza limitato delle infinite funzioni di Photoshop. Alcune di queste sono arcinote, altre un po’ più nebulose ma estremamente utili. Ne parleremo un’altra volta. Per avere una valutazione il più possibile oggettiva del risultato delle proprie modifiche sarebbe utile ritoccare l’immagine non sul monitor del PC ma proiettandola sullo schermo. Questo comporta un elevato consumo della lampada del videoproiettore per cui io preferisco preparare tutte le foto, proiettandole poi sullo schermo in sequenza mediante il visualizzatore di Windows o con IrfanView, più pratico e di migliore qualità. Questo sistema mi dà una idea più precisa del risultato finale, quello che il pubblico vedrà. Man mano scorrono le immagini, prendo nota di quelle meno convincenti e le tengo da parte per eventuali rielaborazioni o le elimino.

IMMAGINI DA FOTOCAMERA DIGITALE:

Tutto il procedimento risulta semplificato: la fotografia viene trasferita direttamente dalla memoria della fotocamera al PC. Spariscono i problemi relativi alla scansione, le immagini sono omogenee perché rilevate dallo stesso sensore e naturalmente non hanno polvere o graffi. Attenzione però al formato. Le macchine fotografiche più economiche, in particolare le “compatte” scattano in formato JPEG. Se trasferiamo una foto da una fotocamera con 5 milioni di pixel nel nostro PC, avremo un file di circa 2,5 Mega. Quando importiamo l’immagine in Photoshop, questa diventa 14 Mega. Cosa è successo? La nostra fotocamera ha compresso la foto per risparmiare spazio sulla memoria e Photoshop la decomprime, riportandola a dimensioni decisamente superiori. Questo procedimento però riduce la qualità.

Molte reflex digitali utilizzano invece il formato “RAW”. RAW significa letteralmente “grezzo”: il RAW è un formato privo di compressione che raccoglie le informazioni digitali così come escono dal sensore digitale, senza che intervengano algoritmi matematici ad alterarle. Il file RAW conserva il numero massimo di dati relativi all'immagine digitale, consente la più alta qualità di immagine possibile, fornisce un formato d'immagine per l'archiviazione che, potenzialmente, può competere con l'utilità e la durata delle pellicole. E’ in sostanza il corrispettivo di una diapositiva o di una negativo e come tale va conservato. Sembrerebbe il massimo, ma non è tutto oro quello che luccica. Infatti non esiste ancora un formato RAW universale: ogni produttore ha il proprio formato RAW proprietario.

Cosa significa? Significa che ogni casa produttrice realizza un proprio formato RAW con un suo programma di elaborazione incompatibile con quelli delle altre case. Il formato RAW infatti non è utilizzabile direttamente. Deve prima essere convertito (in formato TIFF o in JPEG) attraverso un software apposito. Il software è incluso nella confezione della fotocamera digitale o talvolta deve essere acquistato a parte. In pratica se ho archiviato su un CD le mie foto RAW scattate con Nikon (in questo caso si chiama formato NEF), queste non possono essere decodificate da chi utilizza Canon e viceversa. Solo la nuova versione di Photoshop CS permette l’apertura e quindi la conversione di file RAW, ma non tutti possono permetterselo.

 

Chi è interessato ad approfondire questo problema potrà consultare il sito www.openraw.org .

 

Incompatibilità a parte, il formato RAW sembra allo stato attuale il miglior punto di partenza per ottenere immagini JPEG destinate al nostro diaporama digitale.


TORNA SU